Grandi ostacoli nei negoziati. I governi sono d’accordo però sul predisporre una prima bozza entro fine anno.

Avete presente quelle fastidiose buste che galleggiano esanimi nel mare? Oppure tutte quelle bottiglie che troneggiano attorno (ma non dentro!) ai cassonetti dedicati, sempre di plastica! Variopinte, dai colori sgargianti, fanno il paio con improbabili giochi per bambini o con oggetti proteiformi di varia natura. Il mondo è ormai sommerso dalla plastica.

Ma non era questa l’intenzione di Alexander Parkes, ingegnere inglese che nel 1862 brevettò il primo materiale plastico, la parkesite poi meglio nota come Xylonite. L’umanistà si sta, finalmente, chiedendo come fare per arginare il fenomeno che sta uccidendo il pianeta, essendo la plastica quasi impossibile da smaltire ed essendo prodotta facendo largo ricorso a fonti fossili, in primis l’oro nero.  

La sessione di negoziati che si è tenuta a Parigi, presso le sede dell’Unesco, a cavallo tra maggio e giugno, con l’obiettivo di raggiungere un accordo per un trattato internazionale sulla plastica si è appena conclusa con ben pochi avanzamenti. Quello di riuscire ad avere entro la fine dell’anno una prima bozza del documento.

La visione dei produttori di petrolio, plastica ancora “piano B”

I rappresentanti dei 175 paesi presenti nella capitale francese hanno, quanto meno, accettato il principio secondo il quale la prima stesura debba essere pronta entro il 31 dicembre. Se l’obiettivo finale è infatti quello di arrivare ad un testo definitivo, accettato da tutti, entro il 2024, obiettivo in realtà molto poco realistico vista la messe di interessi in ballo, è davvero necessario accelerare i tempi.

Nella città dei lumi, le distanze tra i governi sono state tragicamente confermate. Da una parte coloro che puntano ad una regolamentazione rigida della produzione, utilizzo e smaltimento della plastica; dall’altra coloro che preferiscono una via “soft”. Anche perché per i produttori di petrolio si tratta del principale “piano B di fronte al necessario, e ormai pressoché ineluttabile, addio alle fonti fossili per la produzione di energia.

La posizione dei Paesi del Golfo, Russia, Cina, India e Brasile

Non a caso, l’Arabia Saudita è stata la più pronta nel tentare di frenare, sostenuta da altri paesi del Golfo e anche da Russia, Cina, India e Brasile. Ma il tempo stringe. “I negoziati hanno mostrato chiaramente che nazioni e industrie produttrici di petrolio fanno tutto ciò che possono per indebolire il trattato e ritardare il processo”, recita una nota di Greenpeace Svizzera. Se da una parte gli stati appaiono d’accordo sul principio di ridurre l’inquinamento, il modo in cui farlo li divide ancora. Così come gli impegni volontari per ottimizzare la raccolta e il riciclo.

Esattamente come accade da anni sul clima, insomma, alle parole incoraggianti non seguono i fatti, vedasi tutte le COP successive alla 21 di Parigi del 2015. E anzi a prevalere paiono essere, continuamente, gli interessi particolari. La speranza è che, invece, si possa ripercorrere la strada del Protocollo di Montreal, che ha permesso di agire in modo efficace e rapido sulla questione del buco dell’ozono.


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