Il lockdown ci consegna un consumatore più attento a salute, sostenibilità e tipicità
Agroalimentare capace di battere anche la pandemia: i consumi di cibo e bevande continuano a essere tra i pochi che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici rispetto alle altre filiere.
Male le vendite di beni non alimentari (-22% in valore nel primo quadrimestre sullo stesso periodo del 2019 e addirittura -52% solo ad aprile), quelle di cibo hanno registrato un aumento, rispettivamente, del +5% nei primi quattro mesi del 2019 e del +6% ad aprile.
Nel periodo più caldo dell’emergenza, ovvero tra metà febbraio e fine maggio, le vendite alimentari nella Grande distribuzione sono cresciute del 13%, sulla spinta di prodotti base della filiera agroalimentare Made in Italy: gli acquisti di farine, lieviti, latte e uova, durante la quarantena, sono cresciuti del 42% rispetto allo stesso periodo del 2019, dopo che lo scorso anno segnavano un -0,8%.
Pasta (+17%), l’ortofrutta (+15%) e il vino (+11%) sono gli altri prodotti che hanno guadagnato una crescita annua importante. Sono dati elaborati da Nomisma.
Lo studio racconta i valori alla base delle scelte di acquisto di food&beverage, individuano i fattori influenti e tracciano possibili scenari. Ne emerge un cittadino che esce dalla crisi pandemica più attento al Made in Italy (26%), alla tutela dell’ambiente (22%), alle tipicità del territorio (16%), alla salute (15%) e alla convenienza (14%). Guardando in prospettiva, da qui ai prossimi 30 anni, una popolazione italiana più vecchia porterà a una diminuzione dei consumi vicina al 10%. Per sopravvivere al calo della domanda interna, servirà competenza nell’export e nuovi assetti aziendali