L’Italia è al trentesimo posto (su 58 Paesi) della graduatoria del rapporto annuale sulle performance climatiche dei maggiori emettitori di gas serra. Il lavoro di ricerca è stato realizzato da Germanwatch in collaborazione con Climate Action Network Europe e Legambiente per l’Italia e presentato a Durban in occasione della conferenza Onu sul clima.
La graduatoria viene costituita attribuendo un punteggio calcolato in base a tre parametri principali: il trend di riduzione delle emissioni, che incide per il 50%; il livello assoluto di emissioni, che pesa per il 30%; le politiche climatiche per il 20%. A guidare la classifica sono Svezia, Regno Unito e Germania, ma non occupano il podio: provocatoriamente, infatti, i primi tre posti non sono stati assegnati, perché nessun paese ha ancora messo in atto politiche climatiche sufficientemente ambiziose da ridurre le emissioni di anidride carbonica per contenere il surriscaldamento globale almeno al di sotto di 2°C. A seguire Brasile, Francia, Svizzera. Tra gli ultimi dieci troviamo Arabia Saudita, Iran, Russia, Canada e naturalmente Cina e Stati Uniti, che insieme totalizzano il 44 per cento del totale dei gas serra.
“La posizione di Svezia, Regno Unito e Germania conferma la leadership europea nella lotta ai cambiamenti climatici e il ruolo importante che questi Paesi dovranno giocare a Durban in questi giorni – spiega Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente. “Ci auguriamo che l’Italia s’impegni al loro fianco; nonostante i passi avanti compiuti dal nostro Paese nell’ultimo anno, rimane ancora molta strada da fare”.
L’Italia, in effetti, lo scorso anno era alla 41esima posizione. Una risalita dovuta essenzialmente al parametro delle politiche climatiche nazionali – dove passa dalla 58esima alla 49esima posizione – in particolare sul fronte dello sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Per quanto riguarda il livello assoluto di emissioni il nostro Paese passa invece dalla 29esima alla 27esima posizione. Per il trend di riduzione delle emissioni dal 21esimo al 18esimo posto. Italia e Polonia, si legge nel report, hanno guidato i Paesi europei che hanno bloccato l’adozione a livello europeo di un maggiore taglio alle emissioni del 30%, entro il 2020. “Rimane il sospetto che il miglioramento dell’Italia sia dovuto principalmente alla crisi economica. Siamo, comunque, ancora indietro rispetto ai maggiori Paesi europei – continua Cogliati Dezza. “Un divario da colmare al più presto, soprattutto ora, di fronte alla drammatica crisi in corso. Potenziare la green economy significa anche investire nelle tecnologie pulite e a basso contenuto di carbonio, rilanciando così lo sviluppo economico e la performance climatica del paese.
Un primo segnale forte deve essere dato a Durban sostenendo l’Europa per rinnovare il protocollo di Kyoto e giungere a un nuovo accordo globale entro il 2015”. L’accordo per il clima è ormai improcrastinabile. Secondo uno studio di Climate Analytics e Ecofys, società specializzate nel settore, se anche venissero rispettate le promesse che i governi hanno fatto per il dopo 2012 rifiutando di sottoscrivere impegni vincolanti (con l’eccezione dell’Europa che ha stabilito target obbligatori per il 2020), la temperatura aumenterebbe di 3,5 gradi entro il secolo.
Nonostante ciò, mentre il vertice sul clima è ormai alle battute finali, non si registrano risultati concreti. E’ sostanzialmente caduto nel vuoto l’appello di Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, che ha ricordato come il clima sia una sfida globale “che richiede una solidarietà globale”. I 130 ministri dell’Ambiente, incluso il neoministro italiano Corrado Clini, sembrano procedere in ordine sparso. Cinesi e americani, ad esempio, sul bando degli imputati, continuano a lanciarsi accuse reciproche. E sulle sorti del Protocollo di Kyoto si addensano nebbie. Le stesse che aleggiano sul Green Climate Fund, cioè il fondo per il clima istituito l’anno scorso al vertice di Cancan finalizzato a raccogliere 30 miliardi l’anno dal 2012 e 100 dal 2020, da destinare ai Paesi più poveri in tempi.
L’austerità è una spada di Damocle che incombe su ogni concessione. Una buona notizia arriva dal Brasile. “Le rilevazioni satellitari della Nasa dicono che nell’ultimo anno noi abbiamo rallentato dell’11% la deforestazione – annuncia Luiz Alberto Figueiredo Machado. Gocce nell’oceano.