Ha preso il via il 21 ottobre la Cop16, il sedicesimo incontro delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica

Avviato il sedicesimo incontro delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (Cop16). Per i prossimi  giorni, i delegati di 196 paesi discuteranno una dozzina di documenti che dovranno consentire il raggiungimento, entro il 2030, dei 23 target elencati nel framework globale, e i suoi quattro principali obiettivi: utilizzo sostenibile delle risorse naturali, protezione e ripristino della biodiversità in ogni sua forma, inclusa quella genetica, equa condivisione dei benefici derivanti dalla diversità biologica e, infine, adeguato sostegno finanziario e la costruzione di una rete internazionale efficiente.

La questione dei finanziamenti

I governi si sono infatti già accordati per l’istituzione del Global biodiversity framework fund (Gbff), dedicato a progetti di ripristino e salvaguardia della natura, inclusa la gestione degli inquinanti e gli impatti dei cambiamenti climatici. Impegnandosi a mobilitare 30 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, con un target intermedio di 20 miliardi entro il 2025. Secondo l’analisi del think tank Odi, perà, solo Norvegia, Svezia e Germania hanno contribuito con una quota considerabile come “equa”, mentre Regno Unito, Italia e Canada hanno contribuito ciascuno per meno del 40 per cento della propria quota. E senza fondi la strada da fare diventa ancora più impervia.

Popoli indigeni, risorse genetiche: i temi della Cop16

La presenza istituzionale è alta, con 14mila delegati e 1.100 eventi, il numero più alto nella storia delle Cop sulla diversità biologica. Ma la volontà espressa più volte è che questa sia la Cop delle persone, in particolare delle comunità locali e dei popoli indigeni. Il governo colombiano ha assegnato a 115 popolazioni indigene che vivono nel paese il ruolo di autorità ambientali, competenti in materia di protezione degli ecosistemi e autorizzate a formulare regole per la gestione dei territori e delle risorse, e pianificare bilanci.

Altro tema centrale è la verifica degli impegni assunti dai paesi. Con l’istituzione del Global Biodiversity Framework, infatti, i governi si sono impegnati a presentare alla Cop16 i rispettivi National biodiversity strategies and action plans (Nbsaps); questi ultimi sono piani di lavoro che illustrano le modalità con cui i paesi intendono raggiungere gli obiettivi delineati nell’accordo globale e sono assimilabili, almeno concettualmente, ai Contributi determinati su base nazionale (Ndcs) stabiliti dall’Accordo di Parigi per contrastare la crisi climatica. Con la differenza che gli Nbsaps non sono legalmente vincolanti. Ad oggi, su ben 196 paesi, sono solo 25 – più l’Unione europea – quelli che hanno inviato i propri piani.

La distribuzione dei benefici

Per quanto concerne l’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche, tra cui le sequenze contenute in archivi digitali open source, queste dovrebbero auspicabilmente andare anche a beneficio dei paesi che ospitano le risorse da cui provengono e delle popolazioni indigene che ne custodiscono i saperi e la sopravvivenza. Senza contare la necessità di prevedere meccanismi di conservazione efficaci per evitare sovrasfruttamento di organismi ritenuti ormai fondamentali per il settore tessile, farmaceutico e alimentare, tra i vari.

L’auspicio della Cop16

Dopo anni di attese, negoziati immobili e accordi che sembrano solo mere dichiarazioni di intenti, scatole vuote di una politica internazionale assente, la Cop16 rappresenta la migliore speranza per un Pianeta in cui un milione (un milione!) di specie animali e vegetali sono considerate a rischio di estinzione, di cui il quaranta per cento potrebbe sparire entro la fine del secolo. La presenza di soli cinque rappresentanti governativi non è un buon segnale, così come non lo è – per quanto ci riguarda – la quasi totale assenza della stampa italiana. La speranza, com’è stato ripetuto più volte, è nelle persone. In coloro che non vogliono arrendersi e che pensano che “possiamo farcela” non sia solo uno slogan ma un fischio d’inizio.


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