Dalla Cop16 arriva il report sullo stato mondiale degli alberi elaborato dall’Iucn; 16.425 specie di alberi su un totale di 47.282 è a rischio estinzione
Più di un terzo delle specie di alberi conosciute e catalogate (38% del totale) sono a rischio estinzione. Emerge dal report sullo stato mondiale degli alberi elaborato dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), presentato come evento collaterale alla Cop16, in svolgimento in Colombia.
Alberi, sostegno alla vita del Pianeta
Chiediamoci che cosa rischiamo di perdere se lasciamo andare una specie o un ecosistema. Scopriremo che gli amici alberi sostengono la vita sul Pianeta. Regolano il ciclo del carbonio, dell’acqua e dei nutrienti necessari alla formazione del suolo, forniscono ossigeno, regolano il clima e sono indissolubilmente legati ad altre piante o a specie appartenenti al regno animale o dei funghi. Per non parlare dell’essere umano: oltre 5.000 delle specie arboree presenti nella Lista Rossa dell’Iucn, sono utilizzate per il legname da costruzione e oltre 2.000 specie per medicinali, cibo e combustibili.
In tutto il mondo sono 35.000 le specie vegetali – quindi alberi e piante nel loro insieme – usate per scopo medico, una cifra che rappresenta solo il 15 per cento di quelle esistenti stimate. Dunque, se si considera che cancro e disturbi cardiaci insieme sono responsabili di almeno il 70 per cento delle morti a livello globale, e che, come dimostra la recente pandemia da Covid-19, l’emergere di nuove malattie è lungi dall’essere un’ipotesi remota, è immediato comprendere come investire nella ricerca e nella conservazione di piante e funghi sia di fondamentale importanza.
Il pericolo della deforestazione
La minaccia più consistente per gli alberi è la deforestazione, che nelle aree tropicali è dovuta soprattutto ad agricoltura e allevamento, ed il prelievo sregolato di legname pregiato. Fattori che sembrano lontani da noi ma che in realtà ci riguardano direttamente visto che, ad esempio, siamo importatori di legname ma anche di prodotti alimentari come l’olio di palma e la soia. Per non parlare dell’allevamento illegale, la cui carne e i cui prodotti derivati arrivano negli Stati Uniti e in Europa.
Attualmente, tra il 20 per cento e il 40 per cento della produzione globale di legno proviene da pratiche di deforestazione illegali, soprattutto nelle aree tropicali. Un trend che mette in ginocchio soprattutto i paesi più poveri, i cui governi perdono circa 15 miliardi di dollari l’anno che potrebbero invece essere utilizzati per sanare la situazione economica e sociale interna.
L’import di legno pregiato
Tra le varietà di legno maggiormente importate in Europa ci sono il teak birmano e il mogano. Quest’ultimo si estrae da alberi della famiglia delle Meliaceae che include cinque specie diverse di mogano africano tutte incluse nella CITES, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, e il cui prelievo illegale sta mettendo in ginocchio la foresta pluviale del Congo. Una situazione che ritroviamo anche in Perù, il cui 80% del mogano, fino ai primi anni 2000, veniva esportato negli Stati Uniti, in violazione della suddetta Convenzione. Ma l’Italia non fa eccezione visto che, almeno secondo un report pubblicato nel 2001 sulle importazioni di legname illegale nell’Unione Europea, ben il 40% del legname tropicale importato dal nostro paese sarebbe stato abbattuto illegalmente, per un totale di circa 45 milioni di euro l’anno di materiale proveniente da deforestazione illegale in Indonesia.
Occorre tenere presente che, quando si parla di deforestazione, a farne le spese non sono solo gli alberi ma anche le altre forme di biodiversità̀.
Le soluzioni possibili alla deforestazione
Se lavorare localmente è fondamentale, lo è anche sensibilizzare l’intera filiera in quella parte di mondo responsabile di gran parte del consumo di beni provenienti dalle foreste tropicali. In quest’ottica è fondamentale rivolgersi alla grande distribuzione che, per tutti i prodotti che arrivano oltreoceano, ha più potere di tutti i consumatori, Questi, infatti, possono sicuramente informarsi – devono farlo – ma spesso non hanno il potere di scelta oppure non hanno gli strumenti, in termini di dati messi a loro disposizione, per capire da dove proviene veramente un prodotto. Sta alle grandi filiere ripulire la loro catena di produzione e prendere impegni concreti per assoggettare le aree da cui proviene il legno all’obiettivo deforestazione zero. Ad oggi, infatti, nessuno delle 100 aziende più importanti al mondo per l’approvvigionamento di legno tropicale ha assunto chiari impegni in questo senso. Si tratta di una responsabilità condivisa, portare avanti un’azione concreta sia dal basso, attraverso i consumatori, sia dall’alto.
Il rischio pesticidi e crisi climatica
Nonostante nelle regioni temperate la deforestazione non abbia tassi allarmanti, ci sono altri fattori che minacciano la sopravvivenza dei boschi, in primis i pesticidi e la crisi climatica, ma anche di alcuni loro abitanti. La lista rossa dell’Iucn, infatti, continua a riempirsi di nuovi protagonisti dalla storia che non dobbiamo dare per scontata. Ultimo, in ordine di apparizione, il riccio dell’Europa occidentale (Erinaceus europaeus), che è passato da minima preoccupazione a quasi minacciato. Le attività di monitoraggio, infatti, hanno evidenziato che il declino della specie potrebbe aver superato il 30% nell’ultimo decennio, mettendola seriamente a rischio.
Mentre alla COP16 i Governi sono impegnati a discutere documenti la cui approvazione o meno dipende da interessi lontani dalla realtà scientifica, nel 2023 la deforestazione avanzava ad un tasso del 45 per cento più alto rispetto a quanto sarebbe stato necessario per rispettare gli impegni assunti da 140 paesi (inclusi Brasile, Cina, Russia e Stati Uniti) per fermare la deforestazione entro il 2030.