L’ultimo numero di Creafuturo, testata online del Crea, ente di ricerca nazionale, a cura della ricercatrice Nicoletta Pucci

Forse qualcuno ha a mente il paesaggio attuale della costa tra Brindisi e Gallipoli, fino a Santa Maria di Leuca. Forse più di qualcuno è atterrito dal panorama desolante di quei campi, un tempo orgoglio di tutto il Paese. Certamente tutti vogliamo saperne di più sulla maledetta xyllela, che ha messo in ginocchio una tradizione millenaria. L’epidemia causata in Puglia da Xylella fastidiosa subsp. pauca (Xfp), a partire dal 2013, costituisce il più grave evento fitosanitario avvenuto negli ultimi anni in Italia, con gravissime conseguenze economiche, paesaggistiche e sociali. Oltre all’impatto economico, con forti ricadute sulla filiera dell’olio d’oliva e sulle attività vivaistiche, gli oliveti rappresentano un patrimonio naturale strettamente connesso all’identità della popolazione e simbolo del Salento nel mondo. L’allarme pubblico è ulteriormente cresciuto nel 2020 per il pericolo legato all’area degli ulivi monumentali, alberi millenari proposti addirittura per lo status di Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Cos’è la Xylella fastidiosa

La Xylella fastidiosa, caratterizzata in Puglia come sottospecie pauca nel 2014, è l’agente eziologico della malattia denominata “sindrome del declino rapido delle olive” (OQDS). I sintomi dell’OQDS includono, tra gli altri, bruciatura delle foglie, disseccamento sparso di ramoscelli e rami che iniziano dalla sommità della chioma dell’albero e si espandono al resto della chioma, crescita ritardata, disseccamento e morte delle piante. Il patogeno si moltiplica e colonizza il sistema vascolare della pianta inducendo alterazioni in risposta all’infezione. Il batterio viene trasmesso naturalmente da insetti vettori, quali in primo luogo Philaenus spumarius, che si nutre della linfa grezza circolante nelle piante ospiti.

Xylella, un po’ di storia

La Xylella fastidiosa è un batterio patogeno, noto da molto tempo nelle Americhe. La prima segnalazione di una malattia causata da Xylella risale alla fine dell’800 sulla vite in California, dove tutt’oggi la cosiddetta “malattia di Pierce” ha un impatto notevole sulla viticoltura, diventando un fattore limitante per la coltivazione della vite.

Il batterio è altamente polifago, essendo in grado di sopravvivere in più di 638 piante ospiti, in molti casi asintomatiche, comprese specie ornamentali tipiche della flora mediterranea e specie vegetali di interesse agrario come olivo, ciliegio e mandorlo. In base alla gamma di ospiti e ad analisi genomiche comparative la specie è suddivisa nelle sottospecie pauca, multiplex e fastidiosa. Dopo la Puglia nuovi ritrovamenti di X.f. si sono verificati in Italia (Xf subsp. multiplex nelle regioni Toscana e Lazio), in Europa (Xf subsp. multiplex, fastidiosa e pauca in Francia, Spagna, Portogallo) e in altri paesi come Israele, Iran e Taiwan, su diverse specie ospiti.

L’origine del male in Italia

È stato stimato che l’introduzione di Xfp in Puglia molto probabilmente è avvenuta nel 2008, attraverso piante ornamentali di caffè infette provenienti dall’America centrale (Costa Rica). Tuttavia, secondo alcuni studi, la data del 2008 potrebbe non essere correlata a quando il patogeno è stato introdotto per la prima volta in Italia, ma a quando esso ha iniziato ad adattarsi agli olivi come pianta ospite o a quando l’epidemia è realmente iniziata. Seguendo i rapporti di monitoraggio del Servizio Fitosanitario della Regione Puglia, i dati meteorologici sull’aumento della temperatura della superficie terrestre, le funzioni logistiche abbinate a modelli di adattamento e le analisi approfondite sul periodo di latenza della malattia, si può ipotizzare che la diffusione dell’OQDS sia iniziata a partire dal 2002-2003. Al momento del suo primo rapporto nel 2013 erano interessati circa 8.000-10.000 ettari, che includevano circa 1 milione di olivi compromessi; dodici mesi dopo gli ettari compromessi erano 20.000 e pochi anni dopo la malattia venne definita endemica e considerata non più eradicabile ed approcciata dalla Commissione Europea con una strategia di “contenimento”.

Le difficoltà dei primi anni nella corretta individuazione dell’agente causale del deperimento degli olivi hanno favorito la diffusione della malattia nel territorio salentino, dove l’oliveto è presente con una monocoltura estensiva di due cultivar autoctone sensibili, ovvero Cellina di Nardò e Ogliarola salentina, in ampie porzioni di territorio.