Smentendo timori e diffidenze, l’Istituto superiore di sanità certifica che l’acqua di rubinetto è conforme ai parametri di legge
Il Centro nazionale per la sicurezza delle acque (Censia) ha pubblicato il suo primo report sulla qualità dell’acqua potabile. La conformità media del periodo 2020-2022 è del 99,1 per i parametri sanitari, microbiologici e chimici e del 98,4 per cento per i parametri indicatori (cioè, quelli che non influiscono sulla salute). Ma in Italia c’è ancora un 28,8 per cento della popolazione che non si fida a bere l’acqua di rubinetto.
Chi sono i più diffidenti in assoluto? I siciliani. Coloro che non si fidano di bere acqua di rubinetto sono la maggioranza, per la precisione il 56,3 per cento del totale. Serpeggia un notevole scetticismo anche in Sardegna (45,3 per cento) e Calabria (41,4 per cento). Su scala nazionale, c’è ancora un 28,8 per cento di italiani che preferiscono l’acqua in bottiglia per sentirsi più tutelati. Molti meno rispetto al 40,1 per cento del 2002, ma ancora troppi, considerato che nel nostro paese l’acqua di rubinetto è conforme ai parametri indicati dalla legge in quasi il 100 per cento dei casi. La conferma ufficiale arriva dall’Istituto superiore di sanità (Iss).
I dati ufficiali sulla qualità dell’acqua di rubinetto
Il rapporto segna il debutto del Centro nazionale per la sicurezza delle acque (Censia), che fa capo proprio all’Istituto superiore di sanità. È elaborato a partire dai dati prodotti dalle regioni insieme al Sistema nazionale per la protezione ambientale: si tratta dei risultati di 2,5 milioni di analisi chimiche, chimico-fisiche e microbiologiche condotte in 18 regioni e province autonome tra il 2020 e il 2022. Nel complesso, dunque, scatta una fotografia del territorio in cui vive più del 90 per cento della popolazione italiana.
I parametri sono suddivisi in due grandi categorie. Da una parte ci sono quelli sanitari, microbiologici e chimici fissati dalla legge: in questo caso la conformità media nel triennio è del 99,1 per cento e arriva a sfiorare il 100 per cento in Emilia-Romagna e Veneto. Poi ci sono i cosiddetti parametri indicatori, come manganese, ferro, durezza, odore e altri: non hanno conseguenze sulla salute, ma possono influire per esempio sul sapore, sull’odore o sul colore dell’acqua, rendendolo leggermente più sgradevole. In questo caso la conformità è leggermente più bassa, ma si attesta comunque su un ottimo 98,4 per cento: insieme all’Emilia-Romagna, la regione più virtuosa è il Piemonte.
Le non conformità, poche e su scala locale
I valori più bassi si registrano nella provincia autonoma di Trento (per entrambi i gruppi di parametri), in quella di Bolzano (solo per quelli sanitari) e in Umbria (per i parametri indicatori). “Le oscillazioni del tasso di conformità sono minimali dal punto di vista della prevenzione sanitaria, che in ogni caso è stata adeguatamente assicurata”, assicura lo studio.
A livello locale sono stati registrati alcuni episodi di non conformità, dovuti a contaminazioni microbiologiche (per esempio da enterococchi ed Escherichia coli) e ambientali (coliformi). È comprensibile che possano destare preoccupazione tra gli abitanti delle zone coinvolte, chiarisce il Censia, ma il fatto che vengono rilevati d’altra parte significa che il sistema dei controlli funziona in modo capillare. C’è da dire che il rapporto non prende in considerazione i Pfas, i cosiddetti “forever chemicals” (inquinanti eterni), per i quali nel 2026 entrerà in vigore una nuova direttiva europea più cautelativa. In generale, l’Italia è stata proattiva nel premere in sede europea per una normativa ancora più stringente sulla qualità e sulla sicurezza dell’acqua potabile.