Dopo il fallimento del summit del 2019 si teme che gli aspetti climatici possano essere subordinati all’emergenza rappresentata dal coronavirus

Tra dieci giorni prenderà avvio presso lo Scottish Events Campus (SEC) di Glasgow la COP26. La conferenza vede una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il Youth4Climate e la PreCOP26, si sono tenuti all’inizio di ottobre. Da dove si riparte? La 25esima Conferenza delle Parti, ospitata dal governo cileno e svoltasi a Madrid nel dicembre 2019, si concluse con un nulla di fatto. Si affrontarono delle risoluzioni in merito al taglio dei gas serra e agli aiuti per i Paesi più poveri che subiscono già gli effetti del cambiamento climatico. Ma sul tema dei mercati del carbonio non si riuscì a trovare un accordo, e la questione fu rimandata al summit di Glasgow. 

L’UNFCCC ha identificato quattro grandi obiettivi nel suo manifesto per la COP26, che sono:

– azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 °C;

– adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali;

– mobilitare i finanziamenti;

– collaborare.

Il primo obiettivo si concentra su misure come la fuoriuscita dal carbone e la riduzione della deforestazione, al fine di realizzare un sistema a “zero emissioni nette” rispetto ai livelli del 1990 e consentire il raggiungimento del target di 1,5 gradi Celsius di riscaldamento relativo ai livelli preindustriali.

Il secondo obiettivo parte dal presupposto che alcune comunità dei Paesi rappresentati – sia insediamenti umani che ambienti circostanti – continueranno a subire gli effetti del cambiamento climatico a prescindere, e stabilisce che queste debbano essere supportate nei loro sforzi per proteggersi da tali danni e invertirne la rotta.

Il terzo obiettivo riguarda le risorse economiche necessarie per raggiungere i precedenti obiettivi. E l’ultimo –il più complicato di tutti – sottolinea la necessità di una vera collaborazione globale per realizzare quanto sopra.

Secondo quanto stabilito dall’Accordo di Parigi, le nazioni partecipanti hanno concordato di collaborare all’attuazione di una serie di misure mirate a limitare l’aumento della temperatura globale. Queste includono un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili, il ripristino della biodiversità negli habitat e la riduzione di settori e mezzi di trasporto ad alto impatto in termini di carbonio. 

L’obiettivo trova il consenso di tutti, ma i Paesi devono anche considerare in che modo le decisioni globali influenzano le loro realtà specifiche, per una serie di ragioni. E dovendo ogni decisione essere sottoscritta da quasi 200 Paesi ed essendoci in tutto 2.217 organizzazioni partecipanti, la COP è da sempre monumentale, ma fragile. Come per tutti i colossi di questo tipo, che si basano sull’accordo di tutti, singoli punti di disaccordo possono affondare una preziosa base di consensi. Prendiamo la questione dei mercati di carbonio ad esempio, che fece deragliare la COP25: l’idea si basa sul fatto che i Paesi che hanno raggiunto i propri obiettivi in termini di emissioni possono “acquistare la licenza” a emettere ulteriore carbonio da chi inquina di meno, come se fosse una sorta di credito. Si tratta di una questione estremamente divisiva. Alcuni vedono il mercato del carbonio come un incentivo per i Paesi ad adottare forme di energia più verdi, per evitare di superare la propria soglia, altri lo vedono un sistema fallace pieno di scappatoie e facile da manipolare; i più critici considerano l’intero concetto una finta soluzione equivalente a una “capitalizzazione ecologica”.

Si tratta di una tematica rimasta aperta anche nelle precedenti edizioni della COP, che ha evidenziato gli ostacoli diplomatici tra le nazioni. Succederà lo stesso alla COP26? Probabile, ma stiamo a vedere. Ci saranno altri temi da discutere, per esempio il coronavirus.

“La maggior parte degli esperti ritengono che la COP26 abbia un’unica urgenza”. Questa frase sul sito web della conferenza sottolinea che la presidenza britannica della COP26 arriva in quello che molti vedono come un punto di non ritorno critico a livello climatico, e dopo un periodo di 18 mesi che non ha precedenti nella storia moderna.

Dall’ultima COP nel 2019, quasi cinque milioni di persone sono morte a causa di una sospetta malattia zoonotica in grado di fare il salto di specie. Gli scienziati concordano che la probabilità di tali eventi di spillover (ovvero salto di specie) aumenti quando l’uomo interagisce con i serbatoi di tali virus, quale che sia poi l’elemento attivatore finale. Questo significa che il taglio delle foreste, l’attività mineraria, l’uso e il consumo di prodotti a base di fauna selvatica e altre intromissioni negli habitat ci mettono ulteriormente a rischio di innescare la prossima pandemia. Ecco il collegamento tra clima e virus, dunque.

“La pandemia ha evidenziato quanto la ‘vecchia normalità’ fosse profondamente fragile e pericolosa”, ha dichiarato il gruppo di esperti indipendenti sulla finanza climatica delle Nazioni Unite in una relazione di dicembre 2020. “Se il mondo non agisce ora, il danno causato dal cambiamento climatico e dalla perdita della biodiversità sarà molto più grave e di lunga durata del danno inferto dal COVID-19”.

A questo quadro si aggiunge un anno di incendi, alluvioni, accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, invasioni di locuste, temperature record e obiettivi di biodiversità chiave mancati dai governi del mondo. Tutto questo rende chiaro che questo sia un momento critico per agire, che è sempre più difficile ignorare da parte delle nazioni.   

Ma c’è anche positività sullo sfondo della COP26: la procedura di rientro nell’Accordo di Parigi avviata da Joe Biden nel suo primo giorno in carica come presidente degli Stati Uniti è stata una chiara presa di posizione in contrasto con il ritiro avviato dal suo predecessore. Poi ci sono iniziative proattive come l’Earthshot Prize, la crescita delle rinnovabili a livello globale, una maggiore responsabilità in merito all’investimento etico da parte di alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo e azioni per proteggere più aree della Terra. Tutti segni positivi che indicano che gli ambiziosi intenti stanno lentamente diventano azioni decisive.