A partire dall’idea del parigino Patrick Blanc, da qualche anno, il mondo è stato conquistato dalla bellezza dei giardini verticali. Questi giardini alternativi sono progettati innanzitutto per dare un tocco di verde in quei punti della città in cui la natura è stata quasi del tutto dimenticata, soprattutto per una mancanza concreta di spazio, ormai utilizzato quasi esclusivamente per la creazione di nuovi edifici.
L’impatto estetico di queste creazioni è molto forte sia se utilizzato per gli esterni sia per gli interni delle strutture, inoltre si gioca sempre di più per fare in modo che diventino un tutt’uno con l’architettura dell’edificio attraverso la variazione delle tonalità del verde delle foglie e la personalizzazione delle forme. Accanto alla bellezza di queste “opere d’arte” troviamo i benefici dovuti all’assorbimento di anidride carbonica e allo sprigionamento di ossigeno da parte delle piante, quindi la purificazione dell’aria della città perennemente inquinata, e l’isolamento degli edifici sia da un punto di vista termico – infatti questi tappeti erbosi hanno la capacità di assorbire calore con l’evapotraspirazione riducendo così l’uso di impianti di condizionamento – sia da un punto di vista acustico. Inoltre, assicurano la stabilizzazione delle polveri e dei fumi che rimangono intrappolati tra le foglie, il filtraggio e la depurazione delle sostanze inquinanti contenute nelle acque meteoriche , la resistenza al fuoco dovuta dalla presenza dell’80% di acqua all’interno di questi prati.
Le piante da installare su un giardino verticale sono scelte in base al clima del posto scelto ma principalmente le grandi categorie sono due: le specie microterme, le graminacee che crescono soprattutto in primavera ed in autunno, molto resistenti al freddo e le specie macroterme, resistenti invece al clima caldo. Questi giardini vivono perché non hanno necessariamente bisogno di un terreno, ma per crescere è semplicemente necessaria la presenza di acqua, di ossigeno e di anidride carbonica, cioè quello che serve per la fotosintesi clorofilliana.
Queste piante sono realizzate su appositi pannelli di polipropilene riciclato. La struttura metallica portante può essere ancorata al supporto o staccata da esso. È lo spazio tra il supporto e la struttura a creare una camera d’aria che isola termicamente e acusticamente gli ambienti. Su tutta la superficie è steso un telo in pvc di 1 cm che lo rende rigido e impermeabile. Sul telo di pvc si posiziona uno strato di cartonfeltro che permette all’acqua di distribuirsi in modo uniforme su tutta la superficie del prato. Sul cartonfeltro crescono le piante (circa 30 piante per mq), tenute vive e vegete da un sistema automatico di innaffiatura e fertilizzazione, ma esistono anche sistemi di irrigazione attraverso l’acqua piovana.
Un problema che Patrick Blanc ha dovuto affrontare sin dalle sue prime creazioni è la forza distruttiva delle radici delle piante. Queste, se regolarmente bagnate dall’acqua, tendono a mantenerle in superficie, in questo modo si riesce facilmente ad evitare il problema perché le radici rimangono in superficie e non danneggiano la struttura, senza penetrare in profondità.
Per la cura di queste piante ci sono apposite società addette alla manutenzione che opera con trattamenti automatizzati e taglio a mano. È tutto monitorato da un sistema di telecamere che permette alla ditta di visualizzare direttamente e valutare gli interventi sulla pianta. Interessanti e utili sono i giardini verticali che il francese Marc Batard ha presentato a Ginevra. Questi sono stati studiati appositamente per evitare alle persone anziane di piegarsi per innaffiare le piante, attraverso un sistema di ciotole incastonate a piramide, che permettono all’acqua di scorrere dall’alto verso il basso. Il nuovo tipo di architettura ha coinvolto molte grandi città, tra cui appunto Parigi, Londra, Madrid, Bangkok, New Delhi, Taipei, Milano e, soprattutto i grandi grattacieli della Big Apple con i progetti architettonici di Vincent Callebaut.
Accanto ai giardini verticali Callebaut, nel 2009, presenta il progetto di agricoltura verticale, Dragonfly, che unisce architettura, agricoltura sostenibile e bionica e vede la creazione di spazi agricoli, uffici e abitazioni su circa 130 piani e 600 metri di altezza, l’intera struttura è resa autosufficiente grazie all’energia solare, eolica ed idrica dell’East River. L’organizzazione funzionale è organizzata intorno a due torri che formano una specie di serra, realizzata da una struttura metallica ispirata alla struttura dell’esoscheletro di una libellula.
L’obiettivo di Callebaut è la creazione un contatto diretto tra produttori e consumatori di frutta, verdura, carne e prodotti lattiero-caseari; la produzione di alimenti sempre freschi e l’ottimizzazione degli spazi. Tutta questa verticalità perché si suppone che nei prossimi 50 anni il progresso porterà tutto il mondo a vivere in città, quindi si cerca in tutti i modi di conservare le bellezze della natura di usufruire dei suoi frutti anche nel mondo verticale.