I disastri climatici e le malattie pregiudicano le forniture e mentre l’industria alimentare studia possibili alternative, i consumatori rischiano di dover pagare il conto per tutti
Da qualche tempo un fenomeno che rischia di modificare per sempre le nostre abitudini alimentari si è affacciato anche alle nostre latitudini. E’ un tema che va ormai avanti dal lontano 2012, epoca in cui una parte di politica aveva provato a portare al 20% la quantità di succo di frutta reale nelle bevande. L’operazione fallì e si rimase al 12% che conosciamo oggi.
Arance, problema che viene da lontano
E nel 2024 cosa succede? Il prezzo del succo d’arancia continua a macinare record. il fenomeno non concede requie all’industria alimentare, anzi. In settimana, all’Intercontinental Exchange di New York, la borsa della frutta, i future sul concentrato d’arancia sono saliti fino a 4,92 dollari per libbra, doppiando i livelli che si vedevano un anno fa. E l’industria cosa può fare? E a cascata, i consumatori? I trasformatori sono costretti a esplorare vie alternative provando a inserire i mandarini nelle loro ricette. Ed i consumatori sono costretti a spendere sempre più ed a subire in maniera indiretta l’aumento dei prezzi. Pensiamo ai risvolti in pasticceria e nella gastronomia in generale, alle marmellate, alle bevande aromatiche ed alcoliche. L’arancia è presente ovunque. Non quella italiana, per fortuna o purtroppo, perché la nostra produzione non è così capiente. Il dato colpisce soprattutto la California ed il Brasile.
Le cause naturali del fenomeno
L’elenco delle calamità che si sono abbattute sul comparto ha qualcosa di biblico, al pari dell’invasione delle locuste. Gli uragani hanno funestato le piante di Stati Uniti, Messico e Brasile. Poi la siccità si è abbattuta sullo stato di San Paolo, riducendo di un quarto la produzione. Da non sottovalutare l’apporto dell’”inverdimento degli agrumi”, malattia diffusa da un insetto, che ha dato il colpo di grazia. Un problema ventennale che negli ultimi tempi è diventato davvero pesante.
Il problema, rilevato dal prestigioso Financial Times, sta nel fatto che l’industria, alle prese con questi problemi da tre-quattro anni, non può più nemmeno far affidamento sulle scorte di succo congelato, che hanno una durata utile di un paio di stagioni e consentono di mescolare il succo di una stagione con l’altra, per ammorbidire differenze di sapore o contenere crisi produttive. Il problema è che le scorte ormai non ce ne sono più.
Quale soluzione adottare?
L’unica soluzione rimasta per affrontare la situazione nel lungo periodo rischia di essere quella di utilizzare specie diverse di frutta. In Giappone, dove il 90% del succo d’arancia viene importato, in particolare dal Brasile, e dove la debolezza dello yen gioca sfavorisce le importazioni, la principale catena della gdo nazionale ha optato per la filiera domestica di mandarini, lanciando un prodotto a base di mandarino e succo d’arancia.
Ovviamente per l’adozione su larga scala di nuovi agrumi servirebbero cambiamenti normativi significativi. Ma l’industria ha una carta da giocare per andare in questa direzione: il rischio che i consumatori risentano di questa situazione per anni, tanto che molti produttori stanno già trasferendo l’aumento dei costi ai loro clienti.