E’ la regione più ricca di flora in tutta l’Europa, e l’8% delle specie vegetali si trova solo qui. Ed è un’area molto a rischio, attaccata ferocemente dal cambiamento climatico
Le nostre Alpi costituiscono la regione più ricca di flora in Europa, con oltre 13mila specie vegetali, di cui circa l’8 per cento endemiche, cioè esclusive. Un primato minacciato dai cambiamenti climatici. In base a recenti approssimazioni, circa il 45 per cento di questa flora sarebbe a rischio di estinzione entro il 2100, proprio a causa dell’innalzamento della temperatura terrestre.
Di quali piante parliamo? Ad esempio, il pino cembro, il rododendro rosso o la tussillagine alpina. Ma a rischiare sono anche il ranuncolo dei ghiacciai o l’androsace alpina che stanno man mano migrando verso altitudini sempre maggiori, entrando in concorrenza con le specie più rare che vivono a temperature più basse, in cima alle montagne. E con la flora si sposta anche la fauna.
Purtroppo la distanza dalle principali attività antropiche non basta più: gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire anche ad alte quote, modificando dei microclimi rimasti inalterati per secoli
Le Alpi possiedono tanta biodiversità perché i pendii montuosi, la loro esposizione e l’inclinazione di avvallamenti e crinali creano una moltitudine di microclimi, ognuno caratterizzato da particolari disponibilità di acqua e nutrienti che diversificano gli habitat.
Il rischio sta nel fatto che, se nei prossimi 100 anni la temperatura media globale crescerà di 3 gradi centigradi, nell’emisfero settentrionale le aree di vegetazione si sposteranno di circa 600 chilometri da sud a nord e di 600 metri verso l’alto (migrazione in corso già dal secolo scorso). Si tratta di distanze non percorribili da molte piante alpine, semplicemente perché troppo lente nel farlo. Gran parte dei boschi, infatti, si sposta a una velocità di circa 100 chilometri in 100 anni e alcune specie erbose percorrono addirittura solo quattro metri in 100 anni.
I cambiamenti climatici non rappresentano un pericolo solo per le piante ma anche per gli animali. È il caso dello stambecco, privo di ghiandole sudoripare e che deve quindi spostarsi dove fa più freddo. Dagli anni Novanta ad oggi, si stima che la popolazione di stambecchi che popola le Alpi sia stata dimezzata. In particolare è stato preso in esame il parco del Gran Paradiso e i dati sono decisamente allarmanti.
Altri animali a rischio sopravvivenza sono la lepre bianca, la pernice bianca, l’ermellino e alcune specie di farfalle, veri indicatori dello stato di salute dell’ambiente e della biodiversità. Cosa ci dicono? Che il nostro territorio non è in salute. Nelle politiche di conservazione dell’ambiente montano diventa dunque determinante l’istituzione di aree protette, insieme allo sviluppo di tutte quelle forme di cooperazione e di protezione della natura, tra le quali anche le attività agro-silvo-pastorali quali fondamentali strumenti di gestione del patrimonio naturale.
I parchi diventano dunque il laboratorio nel quale sperimentare le potenzialità degli interventi naturalistici. Immaginiamo di attuare il ripristino degli alvei fluviali per aumentare le capacità di trattenere acqua e regolare la velocità di flusso, la salvaguardia delle torbiere e delle zone umide, ricchissime di biodiversità e in grado di trattenere molta acqua, avremmo risultati interessanti.
Dunque, per affrontare meglio l’impatto dei cambiamenti climatici, è necessario sviluppare progetti pilota di supporto alle attività agricole, all’ecologia integrata e alla riqualificazione naturalistica per un’agricoltura basata su specie e colture diversificate, compatibili con le condizioni locali. Tutte le buone pratiche agricole che si stanno organizzando nei parchi italiani, non solo sulle Alpi ma anche sugli Appennini, possono diventare un volano per lo sviluppo futuro dell’Italia nel quadro della transizione ecologica.