L’Italia del vino continua ad avere una forte concentrazione in pochi Paesi tanto che sommando Usa, Canada, Germania, Regno Unito e Svizzera, si arriva al 65% del totale dell’export.
A tracciare un quadro, dalle molte criticità, è l’Unione Italiana Vini (Uiv) che indica anche che l’Estremo Oriente (in particolare Cina e Hong Kong) è ancora relegato ad un ruolo marginale (il 5%) mentre il resto delle esportazioni è polverizzato in una miriade di piccoli e medi mercati (specie europei).
Sebbene il 2012 si chiuderà per l’export italiano in maniera positiva (a tutto novembre sono stati spediti nel mondo 19 milioni di ettolitri) soprattutto con l’incremento del valore (4,3 miliardi nei primi 11 mesi dello scorso anno), l’Italia – che con 41 milioni di ettolitri è diventata il primo produttore di vino nel mondo (scalzando la Francia) – è rimasta sostanzialmente immobile a guardare mentre i nostri competitors hanno differenziato le strategie.
Una su tutti, proprio la Francia che oggi ottiene il 20% del fatturato del proprio export in Cina e Hong Kong, l’Australia (che, come il Sudafrica, ha dirottato lo sfuso nel Regno Unito e l’imbottigliato in Asia) è al 16% mentre l’Italia che in 10 anni è passata dallo 0,2% al 2%, nell’ultimo anno è stata superata anche da Spagna e Cile.
In questo quadro Uiv, allo scopo di aiutare il settore a definire meglio le proprie strategie, ha costituito l’Osservatorio del Vino con la collaborazione di SymphonyIRI e del Consorzio privato ‘Italia del Vino’. Quest’ultimo, guidato da Ettore Nicoletto (a.d. di Santa Margherita) riunisce 12 importanti cantine che nel 2012 hanno realizzato un fatturato complessivo di 905 milioni di euro, di cui quasi la metà dall’export.