Gli italiani si dicono decisi a consumarne di più, anche per un fattore economico
Il Rapporto Coop – Winter Edition descrive un Paese diviso e dalle attese contrastanti; se da un lato coloro che hanno aspettative in qualche modo positive raggiungono appena il 52%, non siamo mai stati così pessimisti come oggi riguardo quello che ci attende. Negativi, in prevalenza, le donne ed i baby boomers. Un clima sociale certamente più grigio rispetto anche solo di un anno fa.

Timore (più che piacere) di spendere
Gli italiani che ipotizzano nel 2025 una crescita dei consumi superano del 6% quelli che prevedono di diminuirli. Purtroppo, tra le categorie di consumo che raccolgono le maggiori intenzioni di acquisto si registrano soprattutto le spese obbligate; quanti pensano di spendere di più per le utenze superano del 26% quanti sperano di pagare meno. Il saldo è allo stesso modo positivo per le spese per la salute fisica (14%) e il consumo domestico di cibo (11%). Tutti gli altri settori manifestano invece intenzioni di acquisto in prevalenza negative. Certo le famiglie, o almeno alcune di loro, immaginano un rallentamento delle rinunce, per esempio il 10% in meno rispetto al 2024 immagina di non riuscire a pagare mutuo o affitto nei prossimi 12 mesi, l’8% in meno pensa di far ricorso ai risparmi e il 6% in meno di rinviare spese programmate. Ma rimangono in campo le strategie per risparmiare già sperimentate negli ultimi anni come il ricorso alle promozioni (lo farà l’88% del campione), la rinuncia al superfluo (77%) e la scelta della convenienza per il 75%.
Come cambiano i consumi del cibo
Che anno sarà, dunque, questo 2025? I manager intervistati dal Rapposto indicano che ci sarà sempre più home dining e long cooking con il consumo domestico in crescita nelle intenzioni, e quello fuori casa rimasto appannaggio dei più abbienti (se la upper class sale di 13 punti, la lower indietreggia di 35 e anche la classe media mostra segnali di fatica attestandosi su -14). In linea con questa tendenza il 71% privilegerà piatti dalle preparazioni lunghe a discapito dell’acquisto di piatti pronti, mentre il cibo preferito sarà salutare (66%), semplice (53%) e tradizionale (51%). E infatti nella crescita delle intenzioni di consumo alimentare prevalgono (almeno nelle intenzioni) le diete più salubri con un maggior contenuto di verdure (31%), frutta (28%) e pesce (23%), mentre appaiono in calo soprattutto salumi (33%), dolci (29%), carni rosse (29%) e bevande alcoliche (24%).
Avanguardia di queste tendenze i giovani (18-25enni) che dichiarano di voler acquistare nel 2025 cibo plant-based o comunque di origine vegetale nell’85% dei casi contro il 70% degli over 26 (26-70enni). Interessati anche al senza glutine più degli altri (29% vs 46%), si lasciano tentare più spesso anche dal ready to eat (76% vs 65%). E anche sulla tavola domestica pesano più che mai le differenze sociali ed economiche che si acuiscono in tutto il Paese. Se sono tutte in crescita le previsioni di spesa dell’upper class, le famiglie con redditi più contenuti si vedono costrette a immaginare qualche sacrificio sulla spesa di verdura, frutta e pesce.
La GDO tra efficientamento e valorizzazione del capitale umano
Le imprese della filiera alimentare italiana, secondo i manager Food & Beverage, sanno che dovranno affrontare un anno molto complesso, con una crescita delle vendite a valore nel Largo Consumo Confezionato del +1,3% rispetto al 2024. Sulle imprese potrebbe pesare il rischio di un aumento dei costi, oltre a dover sicuramente fare fronte al cambiamento dei modelli di consumo delle famiglie e forse anche attrezzarsi per superare la possibile adozione a livello internazionale di misure protezionistiche. Molti rischi, ma anche opportunità legate a una migliore gestione della supply chain, una riduzione dei costi ed un’implementazione proficua dell’utilizzo della AI.

Il tutto in un contesto in cui la GDO dovrà ancora fare i conti con una ulteriore crescita delle tensioni competitive. In particolare, i manager di settore prevedono una ulteriore crescita nel 2025 del discount, (secondo l’84% degli opinion leader), dell’e-commerce (in miglioramento per il 57%) dei drugstore (meglio per il 35%) e dei superstore (33%).