L’Italia è ormai il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Ed il panorama sociale è fosco e le aspettative al ribasso. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. E il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente. Il 63,6% è convinto che nessuno ne difende interessi e identità̀, devono pensarci da soli. La insopportazione degli altri sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili. Le diversità̀ dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% persone con dipendenze da droga o alcol.

Il 52% è convinto che si fa di più̀ per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Sono i dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi. Rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista perché́ scruta l’orizzonte con delusione e paura, il 31,3% è incerto e solo il 33,1% è ottimista.

Ma c’è di più. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. E i soldi restano fermi, preferibilmente in contanti: nel 2017 si è registrato un +12,5% in termini reali del valore della liquidità rispetto al 2008, a fronte di un più̀ ridotto incremento (+4,4%) riferito al portafoglio totale delle attività̀ finanziarie delle famiglie. E la forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Nel periodo 2014- 2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane, quelle operaie si posizionano oggi a 72 (erano a 76 nel 2014), quelle degli imprenditori a 123 (erano a 120 nel 2014).

Nell’Unione europea vive il 6% della popolazione mondiale, si produce il 22% del Pil e l’euro è il secondo mezzo di pagamento negli scambi planetari. Tra l’area dell’euro e l’Ue a 28 Paesi i tassi di crescita nel 2017 risultano allineati intorno al 2,4% e il rapporto debito/Pil è in media al di sotto del 90%. Al più alto Pil pro-capite dell’area dell’euro (quasi 33.000 euro annui, contro i 30.000 dell’intera Ue) si affianca un tasso di disoccupazione di un punto e mezzo in più tra chi non aderisce alla moneta unica. La quota di popolazione esposta al rischio di povertà̀ o esclusione sociale si aggira per le due aree intorno al 22%. Ma emerge il fallimento dei processi di convergenza. Tra i 19 Paesi aderenti all’euro, solo 7 hanno un rapporto debito/Pil inferiore al 60% come stabilito negli accordi di Maastricht, e degli altri 12 sono in 4 a presentare una quota superiore al 100%.

Rispetto al 2010, in Italia gli investimenti sono ancora all’89,4% del valore di allora, i consumi delle famiglie al 97,4%, la spesa delle amministrazioni pubbliche al 99,1%, il Pil al 99,7% (a fronte di un dato medio europeo in questo caso del 110,6%). Solo l’export è cresciuto (+26,2%). Nel 2017 le esportazioni di merci hanno superato i 448 miliardi di euro (+7,4% rispetto al 2016), con un saldo commerciale positivo di 47,5 miliardi. Siamo il 9° Paese esportatore al mondo, con una quota di mercato del 2,9% (il 3,5% se si considera solo il manifatturiero). Le imprese esportatrici sono oggi 217.431 (8.431 in più̀ dal 2012). E tutto ciò̀ si svolge per la gran parte dentro l’Europa (il 55,6% del valore dell’export). Su 90,6 milioni di viaggiatori stranieri entrati in Italia nel 2017, ben 63,3 milioni (il 69,9% del totale) provenivano da Paesi europei. Dei 39,2 miliardi di euro spesi in Italia dai turisti stranieri, 22,8 miliardi sono attribuibili ai turisti europei (il 58,2% del totale). Ma oggi solo il 43% degli italiani pensa che l’appartenenza all’Ue abbia giovato all’Italia, contro una media europea del 68%: siamo all’ultimo posto in Europa, addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della Brexit. Eppure, finora gli italiani hanno sempre partecipato alle elezioni europee con percentuali di affluenza di gran lunga superiori alla media dell’Ue: nel 2014 il 72,2% contro il 42,6%.