Il lavoro diventa causa di ansia e insonnia in un periodo così particolare del nostro tempo. L’indagine di Bva Doxa, under 34 i più colpiti in assoluto

Quasi l’85 per cento degli intervistati associa la propria condizione mentale complessiva agli stati emotivi sul lavoro, e viceversa. E ciò accade in pandemia, fattispecie che ha contribuito ad aumentare le sensazioni di disagio (+15 per cento) e il diffondersi di patologie come l’insonnia (+9 per cento). E ha esasperato l’idea che essere sempre raggiungibili, sempre connessi elevi il nostro status. Recentemente ne ha parlato (male) l’imprenditore Brunello Cucinelli in un video diventato virale sui social: “Essere stravolti è chic”.  

E dunque aumentano i rischi di “indigestione” da lavoro, il cosiddetto burnout, l’esaurimento provocato da un carico di lavoro eccessivo: “L’80 per cento degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato dalla sensazione di sfinimento al calo dell’efficienza lavorativa, dall’aumento del distacco mentale al cinismo rispetto al lavoro – le parole di Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e customer success manager di Mindwork – La durata dell’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova le persone”.

Le conseguenze: assenteismo e dimissioni

I segnali di allarme non mancano: l’assenteismo incalza e, nel 37 per cento dei casi, si arriva a interrompere il rapporto professionale.

Nei primi dieci mesi del 2021, in Italia il ministero del Lavoro ha registrato 777mila dimissioni volontarie a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto a due anni prima.

Un fenomeno che riguarda da vicino gli under34: il 49 per cento (più 5 per cento rispetto al 2020) si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica.

Le motivazioni sono soggettive, ma tra le più comuni la delusione rispetto all’aspettativa: il lavoro che si immaginava di fare, il ruolo o la mansione che si pensava di avere, il rapporto con capo e colleghi le principali motivazioni. 

Oltre le aspettative deluse, c’è dell’altro. Da un lato i giovani percepiscono di avere più opportunità lavorative; dall’altro, gli effetti della precarietà sono più logoranti per i lavoratori e le lavoratrici tra i 35 e i 49 anni, che spesso si trovano ad avere anche esigenze familiari a cui far fronte.

Un’opportunità per le aziende

Su un punto gli intervistati concordano: il supporto deve arrivare anche dal datore di lavoro. Più del 60 per cento delle imprese promuove azioni dirette ad aumentare il benessere dei propri lavoratori puntando però soprattutto su flessibilità oraria, smart working e benefit economici. Sono ancora in pochi a scommettere su iniziative a sostegno emotivo dei singoli. Perché? In Italia le piccole e medie imprese (pmi) rappresentano ancora la struttura portante del sistema produttivo nazionale. Con la pandemia, gli investimenti delle aziende sono stati dirottati su fronti più contingenti come le ristrutturazioni di spazi fisici, l’acquisto di dispositivi di sicurezza e di sistemi di collaboration. 

Inoltre, si tratta di un problema di cultura organizzativa. Nella maggior parte dei casi, manca ancora una policy su questi temi, che potrebbe dare legittimazione al problema, così da abbattere le resistenze a parlare di disagio psicologico o a considerarlo una questione di debolezza personale.


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