Con la Carta De Logu, Eleonora d’Arborea viene citata da molte personalità politiche e culturali come lungimirante legislatrice, anche perché aveva redatto una raccolta di leggi che offre ancora oggi molti spunti di riflessione.
Nel famoso codice erano tenuti in considerazione alcuni aspetti legati anche alla tutela dell’ambiente e dopo la fine del Giudicato di Arborea la sua importanza fu riconosciuta dai dominatori di turno e mantenuto in vigore sino all’introduzione del Codice albertino.
La Giudicessa probabilmente non avrebbe mai dato il suo benestare al progetto che la SARAS vuole realizzare nelle acque dello stagno di S’ena arrubia e per questo riteniamo opportuno che il nome della Giudicessa non venga utilizzato per finalità che nulla hanno a che vedere con la sua personalità.
La Sardegna da troppi anni subisce l’arroganza e il cinismo mentre la gente perde la salute, il lavoro e la speranza. Per quanto riguarda la qualità dell’ambiente, cosa accade nella nostra Isola? Portovesme, Portoscuso, Sarroh, Porto Torres, Furtei, Perdasdefogu, Teulada, sono solo alcuni dei siti colpiti da contaminazioni e inquinamenti vari e più o meno pericolosi, ma pare che il territorio regionale sia tra i più compromessi d’Italia.
Un rapporto di Greenpeace, ripreso dalla Nuova Sardegna in un articolo del 09 novembre 2011, sottolinea il fatto che “la Sardegna è la regione d’Italia dove si trova l’area contaminata più vasta: 445 mila ettari, centomila in più della Campania che occupa il secondo posto in graduatoria, il dato davvero all’armante e stato diffuso da Greenpeace con il SIN Italy, un rapporto sui siti di interesse nazionale che devono essere bonificati.
Le aree più colpite da inquinamento del suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee sono quelle del Sulcis-Iglesiente e del Guspinese. In queste aree le società minerarie hanno abbandonato insieme all’attività di estrazione i relitti degli stabilimenti e le scorie prodotte da decenni. Il rapporto di Greenpeace è fondato su dati ufficiali e prende in considerazione 157 SIN – siti d’interesse NAZIONALE individuati e circoscritti dal 1998 in poi in base a una sequenza di leggi statali fra cui il decreto legislativo 152 del 2006 diventato riferimento nazionale per i rischi ambientali.
Le norme di perimetrazione (scrive l’organizzazione ecologista) riportano le sostanze inquinanti riconosciute nel sito riferite ad aria, acqua, suolo, catena trofica e a varie modalità di esposizioni. I contaminanti presenti all’interno del SIN, sono diossine, idrocarburi, policiclici aromatici, metalli pesanti, solventi organo clorurati e policlorobifenili. Nel complesso la superficie colpita da inquinamento di questo tipo è il tre per cento del territorio nazionale e i comuni inclusi nel SIN sono 300, 34 in Sardegna.
Greenpeace cita anche lo studio epidemiologico “Progetto sentieri” elaborato grazie a una collaborazione tra istituto superiore della sanità “Organizzazione mondiale della sanità” (Oms) e l’università La Sapienza di Roma per dimostrare che il pericolo per la salute e reale. I siti posti a indagine sono 44, secondo Greenpeace si sono verificati diecimila decessi per tutte le cause e quattromila per tumore in eccesso rispetto ai riferimenti regionali. Nel documento si indicano concentrazioni di metalli definite «piuttosto allarmanti».
Questo quanto veniva riportato con una certa preoccupazione oltre due anni fa, ma la situazione oggi come sarà? Sicuramente non è migliorata. Si sente parlare del Progetto Eleonora nello stagno di S’Ena Arrubia, nonostante sia stato dichiarato di interesse internazionale con la Convenzione di Ramsar e delle trivellazioni nel Monti Ferru, mentre gli interventi per le bonifiche dei siti contaminati sono ancora in alto mare.
La Sardegna soffre per le industrie che chiudono ed è stanca di chi non paga pegno e di chi trascura le problematiche agropastorali e ambientali. I danni della lingua blu e della peste suina, le perdite del mercato produttivo dell’ortofrutta, spesso sono motivate dagli inquinamenti, per non parlare dell’impoverimento degli stagni e i rischi di dissesto idrogeologico, causati dalle colate di cemento dissennate e dalle politiche sbagliate: tutti fattori che mettono molti settori in crisi e fanno aumentare la disperazione per la mancanza di lavoro.
Lo Stato e la Regione devono intervenire e dare un forte contributo per portare avanti le bonifiche e per progettare piani che facilitino le occasioni di lavoro e allo stesso tempo, tutelino l’ambiente, il paesaggistico e il turismo. In natura non esistono sistemi autonomi, gli stagni e le lagune, vivono grazie a una serie di bacini idrologici, quali il fiume, i suoi affluenti e il mare aperto. Quando uno di questi aspetti è sofferente esiste il rischio che il malessere dilaghi per tutto il sistema. Questo criterio vale anche per l’uomo e per il lavoro che è un suo diritto e lo aiuta a condurre una vita dignitosa nella società e nella famiglia, senza dimenticarsi il dovere di rispettare e proteggere il territorio e in esso, trovare le forze per sostenere gli equilibri eco sostenibili e la biodiversità.
Oristano. Alcuni giorni fa nella sala del Consiglio di Oristano si è parlato del futuro per la pineta di Torre Grande, assemblea pubblica che vedeva l’amministrazione comunale e i tecnici della IVI Petrolifera in un incontro con gli ambientalisti e i cittadini oristanesi. Il primo cittadino di Oristano Guido Tendas esordisce nel dire che il progetto della IVI è il primo caso in Sardegna nel procedere per il risanamento del suolo e del sottosuolo. Mentre la IVI con i suoi tecnici espone le tipologie dei lavori da effettuarsi per la bonifica, lavori che si concluderanno in tre anni, divisi in nove fasi, questo per fare in modo di concludere la realizzazione del progetto turistico nei migliori dei modi.
Nei primi due anni si effettueranno le bonifiche del terreno, nel terzo anno verrà bonificato il sottosuolo. Come si sa la pineta presenta sostanze altamente inquinanti, mercurio e metalli pesanti, residui della SIPSA, che lavorava scarti di raffinazione. Il progetto IVI è stato preso in considerazione da tutta la giunta comunale, ritenendolo il modo migliore per salvare l’area della pineta e per dare una svolta turistica ed economica alla marina di Torre Grande.
Rimane il dubbio e la paura degli ambientalisti perché tutto questo non si riveli l’ennesimo inganno. Le industrie in Sardegna negli anni 60 vennero accolte come unica occasione per rilanciare l’economia, in quel periodo poco si sapeva di metalli pesanti o di mercurio, necessitava il lavoro a tutti i costi. Oggi paghiamo a caro prezzo quelle scelte, la paura degli ambientalisti e dei cittadini è più che giustificata.
Cosa dovremo ancora perdere per un tozzo di pane? Nel 2013 la scelta ambiente o lavoro prende una piega diversa, nell’incastro senza alternative ancora una volta prevale il cemento, come un paradosso per salvare l’ambiente, così la pineta violentata due volte per accontentare tutti. La IVI e l’amministrazione comunale di Oristano garantiscono che i lavori verranno effettuati nel rispetto delle leggi e sotto la super visione da parte degli enti preposti, il tutto per garantire la bonifica della pineta.