I cittadini dell’UE si trasferiscono in altri Stati dell’Unione soprattutto per lavorare e sono in media più giovani e economicamente più attivi della popolazione locale. È quanto emerge da un nuovo studio indipendente sull’impatto del diritto alla libera circolazione nell’UE.

Lo studio punta i riflettori su sei città europee, scelte per la composizione multinazionale della loro popolazione, Barcellona, Dublino, Amburgo, Lille, Praga e Torino, e mostra che in tutti e sei i casi l’arrivo di cittadini europei più giovani e in età lavorativa contribuisce positivamente all’economia locale.

Nel caso di Torino, per esempio, si valuta che il gettito fiscale dei contribuenti stranieri frutti nel complesso alle casse pubbliche un netto di 1,5 miliardi di euro (vedi allegato 3). Lo studio mostra inoltre che i nuovi arrivati contribuiscono a colmare le lacune del mercato del lavoro locale, a far crescere i nuovi settori e a controbilanciare l’invecchiamento demografico.

I cittadini provenienti da altri Stati membri spesso accettano lavori al di sotto delle loro qualifiche, possono essere pagati di meno e non sempre godono di pari opportunità di accesso a alloggi e istruzione. Lo studio pubblicato oggi trae una serie di conclusioni:

· i cittadini dell’UE si trasferiscono essenzialmente per cogliere opportunità di lavoro e sono, in media, più giovani e economicamente più attivi della popolazione locale delle città campionate;

· l’afflusso, nelle città campionate, di cittadini dell’UE giovani e in età lavorativa contribuisce a arginare i problemi connessi all’invecchiamento demografico e alla contrazione della forza lavoro;

· i nuovi arrivati contribuiscono a colmare le lacune del mercato del lavoro accettando lavori poco qualificati (Torino e Amburgo), contribuendo alla crescita dei nuovi settori (TIC a Dublino) oppure aiutando a creare nuove attività imprenditoriali (Torino e Amburgo).

Lo studio mette inoltre in risalto una serie di problematiche:

· i cittadini che si trasferiscono tendono a essere iperqualificati rispetto alla forza lavoro locale (e ad accontentarsi di impieghi meno qualificati), il che implica uno spreco di risorse umane contrario ai potenziali benefici della mobilità all’interno dell’Unione;

· in alcuni casi sono emerse disparità salariali tra i cittadini nazionali e i cittadini di altri Stati membri (che molto spesso guadagnano di meno), un dato questo che non risulta però sufficientemente attestato;

· i cittadini che si trasferiscono non sempre godono delle stesse opportunità abitative e di integrazione scolastica dei figli, sebbene lavorino e paghino le tasse.

Il successo dei programmi di integrazione seguiti nelle sei città campionate è attestato dal fatto che l’atteggiamento nei confronti della mobilità va man mano migliorando (vedi allegato 5). In tutte e sei le città, un’atmosfera di partecipazione e una cultura di accoglienza sono favorite da politiche di accesso all’informazione (per esempio con sportelli unici informativi sui servizi), di apprendimento della lingua, di dialogo interculturale e di interazione tra i cittadini. Lo studio individua infine una serie di buone pratiche in vigore nelle città del campione.