Uno studio della Fao evidenzia come i cambiamenti climatici possono aggravare le disuguaglianze socio-economiche già in essere
Le donne sono particolarmente esposte all’impatto del cambiamento climatico; ce lo spiega il rapporto della Fao edito lo scorso 5 marzo. Che esprime la necessità di tutelare le categorie più vulnerabili, proprio per scongiurare l’ampliarsi dei divari già esistenti.
Rapporto Fao, analizzate 24 nazioni
Nell’introduzione del documento, intitolato “The Unjust Climate”, viene ricordato che “le riduzioni della produttività agricola si ripercuotono sulle economie rurali e sui sistemi agroalimentari dai quali dipendono le popolazioni, limitando le opportunità di reddito non agricole, aumentando i prezzi delle derrate alimentari e perturbando i mercati”. Il clima, dunque, colpisce direttamente alcuni comparti economici. Per tale ragione, “gli sforzi mondiali che puntano a lottare contro la crisi climatica devono tenere in considerazione gli impatti sulle popolazioni, in particolare quelle più vulnerabili”.
L’analisi della Fao prende in considerazione 24 nazioni, per la maggior parte al reddito basso o medio: è il caso di Bangladesh, Camerun, Armenia, Repubblica democratica del Congo, Perù, India o ancora del Pakistan. Gli effetti dei cambiamenti climatici su donne, persone povere e vulnerabili, è stato vagliato tenendo conto dei dati socio-economici di quasi 110mila famiglie che vivono in aree rurali. Grazie a modelli computerizzati, tali informazioni sono state incrociate con quelle relative alle osservazioni meteorologiche, a partire dal 1950.
Perdite di reddito maggiori per donne e poveri
I risultati sono allarmanti: l’aumento delle ondate di siccità o delle inondazioni conseguenti a eventi meteorologici estremi colpiscono molto di più le famiglie povere e le donne. secondo la Fao, in media, la perdita di reddito delle famiglie meno agiate è del 5 per cento superiore rispetto alle altre, quando si tratta di fronteggiare caldo e mancanza di precipitazioni. E del 4,4 per cento nel caso delle inondazioni. inoltre, lo scarto di reddito tra donne e uomini è amplificato dell’8 per cento dalle ondate di siccità e del 3 per cento, ancora una volta, dalle inondazioni.
Le famiglie povere, ad esempio, possono trovarsi costrette a non investire più nelle produzioni agricole per dover far fronte a bisogni immediati. Alcuni possono essere portati a vendere ad esempio il bestiame. Ma le conseguenze dei cambiamenti climatici sono tali da rendere difficile anche il reperimento di fonti alternative di reddito. Così, un aumento di un solo grado centigrado nella temperatura media globale può provocare diminuzioni del 33 per cento dei redditi, rispetto alle famiglie più agiate.
Servono politiche adattate a categorie sociali, economiche e di genere
Anche le donne perdono delle opportunità importanti per diversificare i loro redditi a causa della crisi climatica. E anche loro diventano più dipendenti da un’unica fonte di reddito, che via via si va a esaurendo. Molte di loro, inoltre, a differenza dei giovani faticano a migrare per tentare di trovare impieghi alternativi altrove. “Spesso – le parole di Nicholas Sitko, autore del rapporto – queste persone vivono lontane dai centri urbani e da quelle tipologie di lavori che subiscono meno le conseguenze del clima che cambia. Queste donne faticano anche ad entrare nell’industria agroalimentare così come a tentare di lavorare per altre aziende agricole”.
È per questo che occorre adottare politiche che tengano conto delle categorie sociali, del genere e dell’età delle popolazioni. Si tratta di tematiche che le organizzazioni non governative hanno a più riprese evidenziato nel corso, ad esempio, delle Conferenze mondiali sul clima delle Nazioni Unite (Cop) che si tengono ogni anno al fine di agevolare i negoziati tra i governi di tutto il mondo sulla questione. Eppure, secondo la Fao, soltanto il 6 per cento delle cosiddette Nationally determined contributions (Ndc) – le promesse avanzate da ciascuna nazione in termini di riduzione dell’emissioni di gas d’effetto serra – e dei Piani di adattamento menzionano ad esempio esplicitamente le donne. È soltanto nell’1,74 per cento dei casi tali politiche integrano misure di protezione sociale sociale.