Polemiche e prese di posizione che non hanno mancato di suscitare scalpore sulla questione del lupo in agricoltura.
C’è preoccupazione, da parte della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) in merito a recenti polemiche e prese di posizione che non hanno mancato di suscitare scalpore sulla questione del lupo in agricoltura.
“In particolare in Piemonte, si sono susseguite affermazioni a dir poco sconcertanti, poi in parte smentite, sulla consistenza della popolazione, sull’incompatibilità del lupo con l’uomo e l’allevamento e addirittura sulla sua pericolosità per chi frequenta la montagna – spiegano alla Cipra. A lanciare questa campagna di disinformazione sono, in particolare, organismi che mirano a portare un attacco denigratorio al “Progetto lupo” della Regione Piemonte e all’operato del Centro Grandi Carnivori.
“Spiace constatare che politici, amministratori e accademici attivi all’interno di progetti pubblici a sostegno del mondo della pastorizia si scaglino contro il solito capro espiatorio, il lupo, che qui rappresenta tutt’al più la goccia che rischia di far traboccare un vaso ormai colmo, anziché domandarsi da dove nasce la crisi dell’agricoltura di montagna e ammettere i fallimenti delle politiche a tutti i livelli – spiegano alla Commissione internazionale per la protezione delle Alpi. La crisi, in realtà, parte da molto lontano, da ben prima che arrivassero i lupi. In particolare, focalizza l’organizzazione, dai ritardi nella modernizzazione, dalla concorrenza dell’agricoltura di pianura, dall’incapacità di fare sistema, dalla carenza nell’organizzazione della filiera, dall’inadeguatezza delle strutture. Il fenomeno è molto complesso e le responsabilità andrebbero quindi ripartite tra più soggetti. Di certo si pongono alcune domande: ad esempio, di quali metodologie scientifiche si avvale chi stabilisce che in Piemonte ci siano troppi lupi? Senza addentrarsi nella stima della popolazione, che compete a chi ne ha le basi scientifiche, basta osservare che a vent’anni del ritorno del lupo nelle Alpi occidentali, la ricolonizzazione dell’arco alpino non è sostanzialmente progredita e in metà delle territorio piemontese (a nord della Valle di Susa) il lupo è praticamente assente.
C’è poi un’altra affermazione, cioè quella che i lupi sarebbero un pericolo per le persone che passeggiano in montagna. Anche in questo caso, gli esperti della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi assicurano che si tratta di un allarmismo del tutto infondato, che non fa certo bene al turismo. “Che senso ha che un progetto per la pastorizia si metta a contare i lupi? – continuano i responsabili della Cipra. “Non è certo questo che chiedono gli allevatori. Gli allevatori si aspettano soluzioni praticabili. Non che sia indetta una guerra ideologica tra i ricercatori del Progetto lupo – che peraltro ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti a livello nazionale e internazionale – e il progetto a sostegno della pastorizia Propast (entrambi finanziati dalla Regione Piemonte)”.
Al di là del balletto di cifre – migliaia di lupi? Decine, centinaia forse? – sono ben altri i numeri a cui rivolgere l’attenzione: i danni provocati dai lupi accertati dalla Direzione agricoltura della Regione Piemonte per il 2010 ammontano a poco meno di 65mila euro, tra danni diretti e indiretti (31mila euro in provincia di Cuneo). Per dare la giusta dimensione del dato, i danni provocati dai cinghiali sono superiori ai 2 milioni all’anno. Come ben sappiamo, questo non vuol dire che i danni causati dal lupo alla pastorizia siano da sottovalutare. Ben più grave dell’entità del danno è l’aggravio di lavoro che la presenza del lupo comporta per i pastori. Che soluzioni si propongono, allora? Quella di sterminare tutti i lupi? L’ipotesi è totalmente irrealizzabile e non può neppure essere presa in considerazione.
Queste prese di posizione non fanno che sobillare i pastori, esacerbare gli animi, per poi cavalcare il loro il malcontento e lasciarli senza alcuna seria strategia per affrontare il problema. Tutt’al più potranno ottenere, in tempi non certo rapidi e a costo di un acceso scontro sociale, abbattimenti selettivi come in Francia, dove si abbattono forse un paio di lupi all’anno, senza ottenere alcun risultato concreto per la pastorizia. Una soluzione questa che, per usare un linguaggio politichese, può portare qualche risultato sul piano della “coesione sociale”, ma che in realtà rappresenta un puro e semplice “contentino illusorio” da dare ai pastori, per poi disinteressarsi completamente di una corretta gestione del lupo e della prevenzione dei danni alla pastorizia.
Si preferisce una soluzione semplicistica, eliminare il problema anziché risolverlo. “Si sente spesso affermare che l’unica gestione possibile è l’eliminazione del lupo – continuano i portavoce della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi. “Ma spesso le soluzioni semplicistiche sono anche le più velleitarie, le più lontane dalla realtà. La realtà è un’altra, il lupo è accettato dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini italiani e non mancano gli esempi di gestione – in Piemonte e in altre regioni italiane – che hanno dato buoni risultati. Senza contare che l’arrivo dei grandi predatori in alcune valli alpine può costituire un elemento di riequilibrio e miglioramento per le popolazioni di ungulati”.
La Cipra ritiene che la strategia adottata dalla Regione Piemonte con il “Progetto Lupo” – mediante attività di monitoraggio, prevenzione e assistenza alle attività zootecniche – rappresenti una valida esperienza per arginare i danni e affrontare le reali difficoltà degli allevatori e vada pertanto proseguita e ulteriormente perfezionata; auspica inoltre che anche le altre regioni alpine, dove il lupo si è da poco insediato, mettano in atto politiche volte a mitigare i conflitti e a favorire la convivenza tra predatori e attività pastorali.