ROMA – Negli ultimi cinque anni, il numero dei Comuni italiani che adottano fonti rinnovabili è sensibilmente cresciuto. Ad esempio, se per il solare termico erano 108 nel 2006, oggi sono 4.384; nel fotovoltaico, nello stesso periodo, sono passati da 74 a 7.273; per l’eolico siamo da 118 a 374; il miniidroelettrico ne coinvolge attualmente 946 rispetto ai 40 del 2006; impennata anche nelle biomasse, da 32 a 1.136; nella geotermia si passa da 5 a 290. In totale, i Comuni italiani “rinnovabili” passano da 356 a 7.661.
Questo lo spaccato più significativo che emerge dal Rapporto Comuni Rinnovabili, edizione 2011, diffuso da Legambiente. “E’ al territorio che bisogna guardare per capire il nuovo scenario energetico delle fonti rinnovabili – si legge nello studio. “Il cambiamento sta infatti avvenendo a una velocità impressionante, distribuito in Italia tra quasi 200mila impianti di piccola e grande taglia. L’insieme di questi processi ormai definisce con chiarezza i contorni di un modello energetico nuovo, profondamente diverso da quello costruito nel ‘900 intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli”. Il rapporto evidenzia anche le positive ricadute che avvengono nel contesto territoriale grazie alle “rinnovabili”: per merito dei nuovi impianti si sono creati posti di lavoro “verdi”, portati servizi, riqualificati edifici e creato nuove prospettive di ricerca applicata oltre, naturalmente, un maggiore benessere e qualità della vita. Senza dimenticare che coloro che hanno installato impianti solari termici e fotovoltaici, e magari sono collegati a reti di teleriscaldamento, vedono bollette meno salate. “Queste realtà sono oggi la migliore dimostrazione del fatto che investire nelle rinnovabili è una scelta lungimirante e conveniente che può innescare uno scenario di innovazione e qualità nel territorio – insiste Legambiente, sottolineando anche come ciò rappresenti la migliore risposta a chi continua a sostenere che il contributo delle fonti rinnovabili sarà comunque marginale nel futuro del Paese. Il Rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente è partito nel 2006 e fotografa l’evoluzione elaborando dati ottenuti attraverso un questionario inviato ai Comuni e incrociando le risposte con gli studi del GSE, i rapporti di Enea, Itabia, Fiper, Anev e le informazioni provenienti da Regioni, Province e aziende. Nell’ultimo rapporto emerge soprattutto il salto impressionante nella crescita degli impianti installati nel territorio italiano. Sono quindi 7.661 i Comuni in Italia dove si trova almeno un impianto. Erano 6.993 lo scorso anno, 5.580 nel 2009. In pratica, le fonti pulite che fino a 10 anni fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne, e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nel 94% dei Comuni (964 producono più energia elettrica di quanta ne consumano grazie a una sola fonte rinnovabile). Ed è significativo che cresca la diffusione per tutte le fonti – dal solare fotovoltaico a quello termico, dall’idroelettrico alla geotermia ad alta e bassa entalpia, agli impianti a biomasse e biogas integrati con reti di teleriscaldamento e pompe di calore – e per tutti i parametri presi in considerazione. Riguardo alla distribuzione territoriale italiana, se l’idroelettrico è presente prevalentemente al Nord (in testa Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, poi Campania, Veneto e Abruzzo), il fotovoltaico è prerogativa quasi esclusiva del Mezzogiorno (Sicilia, Puglia e Campania in testa, poi Sardegna, Calabria e Molise, quest’ultima regione nettamente in testa per rapporto con il numero di abitanti). E ancora, se il geotermico è praticamente tutto toscano, solare e biomasse sono ben distribuiti tra le regioni, con prevalenza pugliese per il primo e lombarda per le seconde. Quali sono, ancora, i Comuni più virtuosi? Quelli rinnovabili al 100% sono tutti alpini, una ventina distribuiti tra le province di Aosta, Trento e Bolzano. Il valdostano Morgex, con circa 2.000 abitanti, è il migliore esempio grazie al mix di fonti rinnovabili (tra cui un grande impianto idroelettrico) in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico e termico delle famiglie residenti. Insieme a Brunico, Alto Adige, 15mila abitanti. Tra i grandi centri “autosufficienti”, bene Treviso, che grazie ad un mix di 5 tecnologie rinnovabili elettriche, 2,1 MW di impianti solari fotovoltaici, 1,8 MW di mini idroelettrico, 3,8 MW di geotermia, 185 kW di biogas e 5,4 MW di biomassa riesce a coprire il 100% dei fabbisogni elettrici delle famiglie residenti, ma anche Isernia, che con quattro fonti rinnovabili raggiunge l’autosufficienza energetica: 392 kW di pannelli fotovoltaici, 2,4 MW di eolico, 3,3 MW di mini idro e 625 kW di biogas. Poi Lecce con 36 MW di impianti eolici e 7,7 MW di fotovoltaico e Agrigento con 44,8 MW di eolico, che grazie a queste installazioni possono rientrare tra i “Comuni 100% Elettrici”, in grado cioè di produrre più energia elettrica di quella necessaria alle famiglie residenti. Andando nelle singole tipologie di energia, per il solare fotovoltaico è San Bellino (Rovigo), in testa alla classifica di diffusione con una media di oltre 58,4 MW ogni mille abitanti. Al secondo posto Montalto di Castro (Viterbo), terzo Cellino San Marco (Brindisi). Il quarto posto è occupato da Pescopennataro (Isernia), risultato straordinario se si pensa che il piccolo centro molisano ha circa 300 residenti. E’ invece Campo nell’Elba (Livorno) ad avere invece la maggior diffusione di pannelli solari fotovoltaici in relazione al numero di abitanti, 128,74 kW totali e 30,98 kW/1.000 abitanti, seguito da Ventotene (Latina) con 23,98 kW/1.000 abitanti e 15,18 kW complessivi. Per quanto riguarda il solare termico è invece Leni (Messina) con 14,6 mq/1.000 abitanti seguito da Calasetta (Carbonia) con 11,66 mq ogni 1.000 abitanti. Favignana invece ha avviato un processo che lo porterà ad essere la prima isola a “zero CO2”. Per quanto riguarda il solare termico, primeggia Torre San Giorgio (Cuneo), che risulta avere la maggiore diffusione di pannelli solari termici in relazione al numero di abitanti, seguito da Fiè allo Sciliar (Bolzano) e Terento (Bolzano). Per l’eolico, troviamo in testa Troia (Foggia), poi Minervino Murge (Barletta) e Bisaccia (Avellino). Per la biomassa: Strongoli (Crotone), Crotone e Argenta (Ferrara). Roma è prima per il biogas elettrico. In questo quadro, l’apporto del mondo agricolo è primario. Tante le esperienze, da Nord a Sud. Per quanto riguarda il biogas è importante quella dell’impianto di Villa di Tirano (Sondrio) in grado di produrre circa quattromila MWh. L’esperienza è frutto della filiera agro-energetica (cooperative agricole e piccoli allevatori). Le matrici organiche impiegate sono varie e locali: residui di coltura come foglie e colletti di bietola, stocchi di mais, paglia, frutta, vegetali e foraggi di scarsa qualità, liquami e letami degli allevamenti zootecnici, acque reflue dell’agro-industria, bucce di pomodoro, vinacce, sanse di oliva, panelli oleosi, scarti di macellazione. Anche a Racconigi (Cuneo) agricoltura e biogas costituiscono un binomio inossidabile. Nell’azienda agricola Sant’Antonio vengono sfruttati non solo i reflui zootecnici ma anche la biomassa vegetale (residui di mais), per un impianto da 526 kW elettrici e 308 kW termici con i quali vengono riscaldati i digestori per la produzione del biogas. In più si riesce a ricavare l’energia termica sufficiente per riscaldare la stalla dei cavalli. A Ospedaletto Euganeo (Padova) è stato invece realizzato un impianto a copertura di un capannone dell’azienda Veneta Agricola. Ha previsto anche la bonifica del tetto in eternit e il rifacimento dello stesso con una copertura isolante, ottenendo così una riqualificazione energetica dell’intero edificio. Sul fronte del mini-idroelettrico, l’Agricola Agù di Pontechianale (Cuneo), ha realizzato un impianto da 15 kW che fornisce circa 57mila kWh/anno di energia elettrica, utilizzata dalla stessa azienda Tante le esperienze anche nelle biomasse. Secondo le stime di Itabia – ricorda Legambiente – il potenziale quantitativo annuo di biomassa in Italia è di oltre 25 milioni di tonnellate di sostanza secca a cui vanno aggiunti gli scarti della zootecnica per un totale di oltre 23 Mtep/annui in termini di energia primaria. Oltre ai vantaggi ambientali, lo sviluppo di una filiera agrienergetica può portare positivi risultati anche dal punto di vista socio-economico, in particolare per le imprese agricole, con lo sviluppo di applicazioni sempre più integrate e efficienti, e alla possibilità di creare nuove attività e figure professionali. Interessante e dettagliata la classifica dei Comuni: primeggia Costa de’ Nobili (Pavia) con biogas proveniente da liquame suino, bucce di pomodoro e mais. A seguire quattro Comuni in provincia di Alessandria: Castelnuovo Bormida (biomassa vegetale), Casal Cervelli (reflui zootecnici e prodotti agricoli), Piovera (biomassa vegetale) e Occimiano (digestore anaerobico/trinciati). Quindi Borgo San Giovanni (Lodi) con liquame suino; Condinoni (Reggio Calabria) con agrumi, sansa, letame bovino, insilato triticale, letame avicolo; Livorno Ferraris (Vercelli) con mais, pula di riso, reflui bovini; Teglio (Venezia) con liquame bovini-pollina-coltura energetica; Castelnuovo Scrivia (Alessandria) con reflui zootecnici e biomasse vegetali. Tanti i casi interessanti. A Castelleone (Cremona), grazie alla compartecipazione di tre imprese agricole è attivo un impianto a biogas in grado di trattare 20mila tonnellate di rifiuti organici unitamente a 73mila tonnellate di liquami e 6mila di biomasse per una produzione annua di 7.700.000 kWh di energia elettrica e 7.000.000 kWh di energia termica. A Ponteginori di Montecatini Val di Cecina (Pisa), l’azienda vinicola, “la Ginori Lisci” produce energia elettrica tale da rendere l’intera azienda autosufficiente sia dal punto di vista elettrico sia termico, grazie ad un impianto a biogas alimentato dagli scarti di lavorazione dei duemila ettari di viti e da altra biomassa prodotta in loco. Una mini rete da 220 metri, nata grazie al cofinanziamento del ministero per le Politiche agricole e forestali, è a San Giovanni al Natisone (Udine) dove, nel 2004, la mini rete di teleriscaldamento è stata allacciata ad una caldaia da 400 kW alimentata da biomasse (cippato e legna vergine) provenienti dalla Valle del Natisone, garantendo riscaldamento e acqua calda sanitaria a 44 unità abitative costruite secondo criteri di bioedilizia. “Negli ultimi mesi sono stati presentati diversi e autorevoli studi che hanno dimostrato la fattibilità di uno scenario al 100% rinnovabile in Europa al 2050 – si legge nel rapporto di Legambiente. “I governi tedesco e danese sono andati oltre, presentando piani e aprendo un confronto politico e con il mondo industriale per definirne strategie e tabelle di marcia per raggiungere target di quella portata. Una sfida che può apparire visionaria, se inquadrata nel dibattito politico italiano sui temi energetici, ma che invece è già realtà in molti Comuni italiani che hanno puntato a dare risposta ai propri fabbisogni valorizzando le risorse presenti nei territori attraverso il mix di impianti più adatto. In effetti le decine di migliaia gli impianti presenti – piccoli, grandi, da fonti diverse – e i tanti progetti in fase di realizzazione danno forma a un nuovo modello di generazione distribuita, in uno scenario che cambia completamente rispetto al modo tradizionale di guardare all’energia e al rapporto con il territorio. La sfida è quella di assicurare una prospettiva a tali processi per garantire una risposta definitiva ai gravi problemi energetici italiani. Una sfida soprattutto culturale.