Dopo circa un ventennio di trattative e tira e molla, finalmente ci siamo. La prossima sarà la prima vendemmia che porterà vino biologico nelle nostre case. Sì perché ad essere certificata fino ad oggi era solo l’uva, coltivata senza strumenti chimici.
Il processo di vinificazione naturale viene così premiato; sarà ammesso un quantitativo minimo di solfiti (100 ml/litro per i rossi, 150 per bianchi e rosè). Il nuovo regolamento comunitario sul vino biologico, entrato in vigore questo mese, premia quel 7% di produttori italiani che produce come una volta.
In ettari, fa circa 52.000. Dicevamo che il regolamento arriva dopo anni di trattative; stabilisce il divieto per una serie di pratiche usate solitamente nel lavoro in cantina, quali la concentrazione parziale a freddo, la desolforazione dei mosti, la dealcolazione parziale, il trattamento del vino con scambiatori cationici.
Altre pratiche sono limitate: il trattamento termico non può superare i 70°C e la filtrazione non può essere condotta con fori di diametro inferiore agli 0,2 micron (ciò significa sì alla microfiltrazione, ma no alla ultra e nano filtrazione).
Ma per i produttori italiani il regolamento giunge al momento opportuno; a fronte di un interesse del mercato sempre più alto, ad un aumento tendenziale di volumi scambiati, e ad una concorrenza extra Ue già molto agguerrita e pronta a mostrare fior di certificazioni, il rischio di perdere opportunità per il made in Italy era piuttosto elevato. “Si poteva essere più ambiziosi” ha commentato Cristina Micheloni, vice presidente dell’Aiab.
I principali mercati? quelli più attenti alla produzione biologica: Nord Europa e Gran Bretagna.