L’animale torna a essere presente in Italia. Ripercorriamo l’importanza del suo ruolo ecologico
I lupi non sono animali relegati alle foreste montane. Sono in grado di adattarsi a qualsiasi clima, altitudine e preda, sono ecologicamente plastici ed elastici, estremamente opportunisti e, oggi che non sono più cacciati, prolifici. Vivono organizzati in branchi di pochi esemplari, con la coppia dei genitori a guida del branco e i figli ad aiutare nel pattugliamento del territorio e nell’allevamento dei nuovi nati.
I lupi sono notturni, occupano territori molto vasti e si muovono su lunghe distanze con un trotto allegro andante. Occorre imparare quali sono i sentieri che preferiscono, i valichi, i passi di montagna, le valli che prediligono per la caccia o la riproduzione. In inverno, la tecnica delle tracciature su neve permette di seguire il branco per diversi chilometri e attraverso l’osservazione delle piste si può risalire al numero di esemplari che compongono quello specifico nucleo famigliare. Le fototrappole permettono di riprendere il branco nei suoi spostamenti, a conferma di altri dati raccolti, mentre in estate la tecnica dell’ululato indotto fa sì che si possano individuare le cucciolate, altrimenti difficili da trovare.
E’ difficile spiegare che i lupi non vivono solo in montagna, non lo hanno mai fatto, e vederli correre nei campi, tra il mais e l’orzo, o lungo le strade, fa parte della storia naturale.
Come lo vediamo il lupo?
Per decine di migliaia di anni sono stati tra i predatori più diffusi al mondo, occupandone metà, quella che noi usiamo chiamare emisfero boreale. Nei confronti del lupo l’essere umano ha conservato a lungo una forma preistorica di meraviglia e rispetto, ammirandone le doti venatorie e a volte uccidendolo, ma mai in nome di una forma di prevaricazione, mai per il mero interesse economico, semmai per il suo valore altamente simbolico, per la pelle, per i denti, per le sue funzioni totemiche. L’avvento dell’agricoltura, circa diecimila anni fa, e con essa la nascita delle prime forme di allevamento, hanno drasticamente cambiato la sua percezione e ne hanno disconosciuto il ruolo ecologico, che era invece sempre stato chiaro, almeno fino ad allora. La necessità di difendere il bestiame per lungo tempo ha convissuto con un timore reverenziale, senza mai inciampare nel desiderio di sterminare ogni esemplare della specie pur di liberarsene per sempre.
Una nuova narrazione
A partire dagli anni Sessanta si è fatta lentamente strada una nuova visione della natura e dei suoi elementi. In Italia, associazioni come il Wwf hanno iniziato campagne di sensibilizzazione per la tutela del lupo già agli inizi degli anni Settanta, quando la specie era prossima ad estinguersi a causa di una caccia indiscriminata e rimanevano pochi branchi concentrati sull’Appennino centrale e meridionale.
La Pianura Padana, ad esempio, non ospita più grandi paludi, boschi igrofili e foreste di alberi secolari, né tutte le prede che li avrebbero popolati, ma oggi è ricca di nutrie e ratti, e di altri animali altamente adattabili, come i cinghiali. La vegetazione agricola, insieme a filari e piccole boscaglie, offre comunque riparo, e quindi i lupi trovano un ambiente in grado di sostenerli sul lungo periodo.
Nel 2020, dopo almeno un paio di anni dedicati alla pianificazione, è iniziato il Monitoraggio nazionale del lupo. Un progetto costituisce una pietra miliare nella storia di conservazione del lupo in Italia, perché per la prima volta le attività di monitoraggio sono state coordinate tra tutte le regioni, nei metodi e nei tempi. Un’istantanea scattata a distanza di cinquant’anni dalla protezione legale del lupo e di trent’anni dalla nascita della Direttiva Habitat, uno strumento importantissimo per la tutela di specie e habitat europei che chiede agli stati membri proprio un monitoraggio sistematico e regolare. I sette mesi di attività di campo, con impegnati decine di tecnici e centinaia di volontari in tutte le province italiane, hanno messo in luce le aree di presenza stabile del lupo e fornito i numeri di questa presenza.
Secondo una stima prudenziale oggi i lupi sono circa 3.300, un buon numero da un punto di vista conservazionistico, che non permette però di abbassare la guardia su alcune problematiche, come il conflitto con gli allevatori e i cacciatori, il bracconaggio e l’ibridazione con i cani domestici. Nessun rischio per l’essere umano, che non rientra nell’alimentazione del lupo.
Tuttavia, rimangono alcune zone d’ombra legate alla necessità di lavorare in modo puntuale e capillare con gli allevamenti, poiché ci sono zone colpite dagli attacchi con maggiore frequenza e nelle quali occorre investire – da parte delle istituzioni – in programmi di supporto e prevenzione dei danni. Non esiste invece un vero problema per quanto riguarda l’attività venatoria. I cacciatori lamentano di fare fatica a individuare gli animali da abbattere loro assegnati sul territorio, perché a causa del ritorno del lupo si comportano in modo diverso. E questo è vero, perché in presenza di predatori gli ungulati, prede d’elezione, tendono a adottare comportamenti e strategie utili a evitare attacchi, utilizzando aree più impervie, ad esempio, o formando gruppi e mandrie più numerosi. Non è però vero che il ritorno del lupo abbia ridotto il numero degli ungulati. Al contrario questi sono in aumento esponenziale, ben più dei lupi stessi, da anni, e anzi i numeri raggiunti da alcune specie localmente – come il cinghiale, o il cervo – sono preoccupanti sia per l’agricoltura che per il rinnovamento forestale e altri ecosistemi più fragili.