Brutte notizie per la Pac, la Politica agricola europea. 

Si spera, secondo fonti irlandesi citate dal Sole-24 Ore (l’Irlanda avrà nel 2013 il suo turno di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea) di risolvere la questioni con un vertice straordinario dei capi di stato e di governo, ma c’è pessimismo a Bruxelles.

Ricordiamo che la nuova Pac dovrebbe partire dal 2014, e siamo adesso nel periodo più delicato, quello della consultazione a tre tra governi, europarlamento e Commissione Europea. Il problema principale rimane quello dei fondi, con i previsti tagli all’aiuto agricolo diretto, ma anche i fondi per lo sviluppo rurale e gli incentivi all’innovazione, il cosiddetto secondo pilastro della Pac, che dovrebbe compensare il primo, non sono ancora consolidati e messi al sicuro.

Doppie brutte notizie per l’agricoltura italiana, che, già incerta su come difendersi dai tagli sul primo pilastro, sperava di compensare con il secondo, sostenendo nel frattempo il il Parlamento Europeo che sta elaborando le sue controproposte, che potrebbero alterare notevolmente la riforma della Pac pensata in Commissione a cui ha legato il suo nome il commissario, il romeno Ciolos, anche grazie al ruolo di un italiano, Paolo De Castro, presidente della commissione Agricoltura del Parlamento di Strasburgo.

Molti osservatori cominciano a sostenere apertamente che è meglio sospendere, e continuare con la “vecchia” Pac in una sorta di gestione provvisoria. Una reazione difensiva, che sembra apprezzata in molti ambienti del mondo dell’agricoltura italiana, un poco per italico catenaccio, ma anche per sottintesa sfiducia nelle capacità di Roma di pesare su Bruxelles in questo momento, con il peso politico ed economico italiano indebolito dalla crisi dello spread e troppi dossier aperti per poter davvero battere il pugno sul tavolo. Alla fine, la riforma della Pac, senza fondi adeguati, oltre che l’accordo su come utilizzarli, potrebbe abortire: e se per molti tanto peggio tanto meglio, sarebbe comunque una sconfitta per l’Europa e una battuta d’arresto per l’adeguamento della nostra economia alla globalizzazione, che non aspetta.