Le migrazioni? Un fenomeno dovuto in buona parte all’insicurezza alimentare

Le migrazioni? Un fenomeno dovuto in buona parte all’insicurezza alimentare, più che alle guerre. Uno Stato con crescenti livelli di insicurezza alimentare e di conflitti sperimenterà una maggiore emigrazione in uscita o movimenti di persone che abbandonano la propria casa. A sostenerlo è uno studio di United Nations World Food Programme (WFP) secondo il quale ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare costringe l’1,9% della popolazione (per mille abitanti) a migrare, mentre un ulteriore 0,4% (per mille abitanti) fugge per ogni anno di guerra. Tra le cause di insicurezza alimentare ci sono, senza ombra di dubbio, i cambiamenti climatici che stanno colpendo il Pianeta.

Lo scorso 29 giugno il “The Guardian” titolava: “Gli esperti avvertono: il mondo ha solo tre anni per fermare i pericoli del cambiamento climatico”, sintetizzando il contenuto della lettera aperta firmata da autorevoli esperti internazionali e pubblicata sulla rivista “Nature”. Eppure, se si puntasse su un’agricoltura sostenibile si potrebbe avere un’arma efficace per combattere il cambiamento climatico (oggi l’agricoltura produce il 24% dei gas a effetto serra: più dell’industria, che si ferma al 21%, e dei trasporti, 14%). Proprio in termini di Environmental impact of agriculture on the atmosphere diversi sono i Paesi dove la strada da compiere verso la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera è ancora lunga (negli ultimi 5 posti della speciale classifica troviamo USA, con un punteggio di 59.07; il Brasile a 50.50; la Cina a 50.00; l’India ferma a 46.72 a poca distanza dall’ultimo posto occupato dall’Indonesia con un punteggio di 44.22).

Sono questi in sintesi gli argomenti al centro del secondo Food Sustainability Report, lo strumento realizzato da Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) e Milan Center for Food Law and Policy, pensato per promuovere e diffondere la conoscenza delle complesse tematiche relative al cibo al fine di sensibilizzare governi, istituzioni e opinione pubblica sull’urgenza di agire per rendere il sistema alimentare globale realmente sostenibile. Un ausilio agli addetti ai lavori per orientarsi nell’enorme flusso di informazioni sui siti internazionali di lingua inglese, riguardanti il cibo ed i suoi impatti in termini sociali, economici, ambientali.

Nel secondo numero del Food Sustainability Report (trimestre aprile-giugno 2017) il tema al centro dell’analisi è il “Climate Change”, che ha guadagnato la ribalta della riflessione internazionale in seguito a due eventi:

il G7 di Taormina, tenutosi il 27 e 28 maggio scorso, durante il quale il presidente USA Donald Trump ha anticipato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, l’annuncio ufficiale del ritiro espresso dallo stesso Trump il 1° giugno, dopo il suo rientro in patria, dai giardini della Casa Bianca.

Per il prof. Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, Bologna Center, e membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze, così commenta i risultati del Report: “Sostenibilità ambientale, sostenibilità nutrizionale e sostenibilità della pressione migratoria costituiscono i tre vertici dell’odierno triangolo politico-istituzionale. Due le scuole di pensiero che oggi si confrontano nel dibattito pubblico. Per un verso, vi sono coloro che parlano di un trilemma e ciò nel senso che, al più, sarebbe possibile assicurare solo due dei tre tipi di sostenibilità. Ad esempio, Donald Trump è disposto a rinunciare alla sostenibilità ambientale per non porre a repentaglio le altre due; per la Cina, la sostenibilità della pressione migratoria non è certo in cima alla sua agenda politica. Per altro verso, vi sono coloro che giudicano fallace, perché aporetica, la tesi del trilemma. L’Unione Europea persegue da anni, non senza difficoltà e contraddizioni interne, l’ambizioso progetto di tenere insieme, in mutuo bilanciamento, i tre tipi di sostenibilità. Noi ci poniamo tra coloro che negano l’esistenza inevitabile del trilemma. È cattiva scienza (sia sociale sia naturale) quella che fa credere all’esistenza di irriducibili trade-off. Quel che è urgente porre in campo è una vasta e approfondita campagna culturale di alfabetizzazione. Su questi temi c’è troppo chiacchiericcio e troppa poca informazione veramente scientifica. Ecco perché l’opera che il BCFN, con la preziosa collaborazione del Milan Centre for Food, Law and Politics, va realizzando merita incoraggiamento, per progredire sulla via intrapresa ed ampliare il suo raggio d’azione“.