Dea, Pizia, maga, levatrice, cosmeta, erbaria, medichessa, sacerdotessa, vestale, badessa, santa, alchimista, strega. Specie nella cultura contadina. Ad un primo sguardo si direbbero profili diversi e distantissimi tra  loro. E invece no. Sono la stessa cosa. Cosa accomuna questi profili? Naturalmente la storia delle donne.

E anche un libro, “Medichesse” di Erika Maderna, edito da Aboca, che attraverso il racconto ci dimostra come la vestale, la maga, la strega, la medichessa abbiano un unico denominatore.

La capacità e la vocazione femminile per la cura. Da Circe e Medea, passando per Metrodora e Trotula, arriviamo a Santa Ildegarda e a Caterina Sforza. Questo viaggio tutto al femminile prende il via dagli albori del nostro tempo, con i riti e il sapere della Potnia, la Signora, divinità matriarcale preindoeuropea che aveva la conoscenza di tutte le forme viventi e dei meccanismi della vita stessa, la sua autorità era esercitata sulla natura e, attraverso di essa, la Potnia era anche curatrice e maga.

Da questo ambíto gli uomini si tenevano a distanza, ed erano le donne a “sporcarsi” le mani con questi misteri. “[…]Se gli uomini hanno dominato l’universo delle parole, le donne hanno avuto il potere sul mondo delle cose”. Il sapere femminile, infatti, più antico di quello maschile tramandato attraverso la parola scritta, era trasmesso di madre in figlia attraverso racconti, pratiche, esperienze.

Con l’arrivo delle civiltà greche e romane la Potnia – e dunque il sapere femminile – viene smembrato e diviso in più divinità, più profili di donna. Era/Giunone, Artemide/Diana, Atena/Minerva, Persefone/Proserpina. Ognuna di loro incarna un aspetto dell’universo femminile e la divisione, si sa, indebolisce. Con il passare dei secoli infatti, la Signora perde di potere e soprattutto da divinità positiva diviene un archetipo negativo.

La capacità di curare diviene capacità di maledire, trasmettere malattie, realizzare filtri. Ecco che nascono Circe e Medea, stirpe maledetta di femmine turpi, che vedrà poi il suo clou verso la fine del 1400 quando le donne, le guaritrici, saranno accusate di stregoneria e bruciate sui roghi. Laddove, comunque, il legame con la terra rimane una costante.

“Medichesse” racconta dunque quattro diversi profili di donna – la curatrice, la medichessa, la sacerdotessa/badessa e l’alchimista – e ci mostra come in effetti tra la prima e l’ultima non ci sia alcuna differenza. Profili di uno stesso volto. Ciò che è cambiato, nei secoli, è l’occhio attraverso cui questi profili sono stati visti. “Medichesse” è dunque la storia delle donne, della loro sapienza, della loro vocazione alla cura, vista con gli occhi di una storica. Di una donna.