Secondo il rapporto LAV, la carne è la terza fonte umana di produzione di CO2, l’anidride carbonica.
Le strutture dove crescono gli animali sono la fonte del 12,6% di gas totali, in particolare ammoniaca, principale motore delle piogge acide e della conseguente acidificazione dell’ecosistema.
Inoltre, la carne consuma grandi quantità di acqua, risorsa scarsa e difficilmente rinnovabile: per due etti, servono 25 litri. Riguardo poi i vari tipi, il più inquinante è la carne bovina, seguita dal pollame e dalla carne suina. Il rapporto evidenzia poi dettagliatamente alcune delle più gravi conseguenze: l’inquinamento del suolo derivato dagli allevamenti si ripercuote sulle falde acquifere sotterranee.
La FAO ha calcolato che in Europa il settore della produzione della carne ha utilizzato nell’anno 2000 circa 13 milioni di tonnellate di fertilizzanti sintetici. Nell’agricoltura EU quasi il 50% delle immissioni di nitrati nel suolo derivano dai fertilizzanti chimici, mentre il 40% deriva dai liquami animali. L’allevamento intensivo è una delle attività che impiega più acqua al mondo.
L’utilizzo di acqua da parte degli allevamenti salirà del 50% entro il 2025, contribuendo in maniera significativa alla scarsità idrica mondiale del prossimo decennio. La produzione di 0.2 kg di carne di bovino si può tradurre nell’utilizzo di 25.000 litri di acqua. Si stima che negli Stati Uniti nel 2007 il sistema di allevamento ne abbia utilizzato, per tutte le fasi di produzione di carne, più di 14.687 milioni di litri al giorno. Un bovino adulto da allevamento può bere in media tra i 30 e i 50 litri di acqua al giorno e un suino circa 10 litri.
La necessità di acqua cambia anche in funzione della temperatura in cui l’animale vive e dei sistemi di allevamento. Il ciclo della produzione di carne utilizza l’acqua in varie fasi: abbeveramento degli animali; pulizia delle installazioni e degli allevamenti. Si sparge inoltre acqua anche sulle carcasse animali per motivi igienici (la quantità può variare dai 6 ai 15 litri per carcassa di un grande animale). Inoltre, nell’allevamento estensivo il 25% del fabbisogno di acqua proviene dal mangime. Questa quota si può ridurre fino al 10% nel caso dell’allevamento intensivo.
La Commissione Europea sta elaborando una nuova politica UE sull’utilizzo dell’acqua che dovrebbe entrare in vigore nel 2012.
Rischi sanitari La carne che si consuma oggi è un prodotto inquinante globalizzato, veicolo di epidemie mondiali che colpiscono gli animali e l’uomo. I costi per la prevenzione e il contenimento di epidemie possono salire facilmente a miliardi di euro e causare l’abbattimento di milioni di animali, specie negli allevamenti intensivi, dove la propagazione di virus è facilitata. Tutto ciò a spese dei cittadini europei. Le emergenze sanitarie dovute a malattie zootecniche, come l’afta epizootica o l’influenza aviaria, hanno avuto ripercussioni sulla produzione globale di carne che si è evoluta su alcune specie invece che verso altre. Le epidemie zootecniche provocano delle conseguenze notevoli sul mercato globale della carne, in quanto si propagano molto più rapidamente negli allevamenti industriali intensivi.
In Italia, gli allarmi di diffusione della BSE (mucca pazza), SARS e influenza Aviaria (periodo 2001-2007) sarebbero costati circa 550 milioni di euro, di cui 443 milioni di euro per la BSE (tra questi più di 233 milioni di euro solo per la distruzione delle carcasse bovine). Nel 2001, i costi della diffusione della malattia della mucca pazza solamente in Gran Bretagna sono stati stimati intorno ai 20 miliardi di euro e hanno comportato l’uccisione di circa 7 milioni di animali, mentre la diffusione della SARS in Cina, Canada, Hong Kong e Singapore è costata tra i 30 e i 50 miliardi di euro.
La diffusione dell’influenza aviaria, che ha coinvolto anche l’Europa nella metà del decennio 2000 (1999-2004), ha condotto alla soppressione di 220 milioni di uccelli e provocato la morte di più di 60 persone. E’ stato calcolato che l’inquinamento e le malattie provocati dall’allevamento costano, per esempio, allo Stato Olandese circa 27 milioni di dollari all’anno; le perdite economiche legate alla malattia dell’afta epizootica solamente in Gran Bretagna ammontano a 8 miliardi di dollari, mentre quelle globali associate alla BSE sono stimate in 20 miliardi di dollari.
Il consumo di carne, specie carne rossa (bovini, suini, agnelli) è stata associata allo sviluppo di alcune malattie umane come il cancro. Inoltre il consumo di carne che proviene da allevamenti intensivi ha delle potenzialità tossiche elevate in quanto contiene residui di fertilizzanti, pesticidi ed antibiotici. Conservanti sono inoltre presenti quando la carne viaggia lunghe distanze prima di raggiungere il consumatore. L’Istituto Nazionale sul cancro degli Stati Uniti ha rilevato una connessione tra il rischio del cancro negli umani e il consumo di carne rossa cotta ad alte temperature. Un rapporto del 2003 dell’Organizzazione Mondiale della Salute ha sottolineato l’esistenza di diversi studi internazionali che hanno dimostrato l’associazione tra consumo pro capite di carne e mortalità per cancro.
Un mercato “drogato” dai sussidi Il business della produzione animale in Europa è un mercato “drogato” dai sussidi, diretti e indiretti, che generano impatti negativi e costi addizionali per la collettività. Le produzioni proteiche vegetali sostenibili per consumo umano non beneficiano affatto delle stesse sovvenzioni della carne, nonostante il loro impatto sull’ambiente sia minimo e la loro resa produttiva maggiore. La struttura finanziaria della PAC incentiva l’allevamento intensivo come metodo di efficienza industriale che vede gli animali rinchiusi in spazi angusti e organizzati alla stregua di “macchine” da produzione. Tali istallazioni sono tutt’altro che efficienti: sono molto onerose, ma sostenute con finanziamenti pubblici.
Queste sono anche a rischio costante di diffusione di epidemie, con tutti i costi economici e di abbattimento animale a carico della collettività che ne conseguono. Nel 2010 il New York Times riportava come i sussidi USA nel campo alimentare fossero inversamente proporzionali alle raccomandazioni scientifiche sulla nutrizione, con il 73,80% dei sussidi federali agro-alimentari stanziati per la produzione di carne e solo circa il 2% per legumi, frutta e verdura. Una situazione simile sembra registrarsi in Italia, dove per influenza dei sussidi della PAC alla carne, il prezzo di frutta, verdura e legumi è superiore a quello della carne. Le politiche agricole globali negli ultimi 20 anni hanno stimolato l’incremento della produzione e consumo di proteine animali e la diffusione del metodo dell’allevamento intensivo (industriale), precedentemente inesistente. E’ stato calcolato che nel 2002 più del 60% del budget agricolo europeo (che da solo rappresenta circa il 40% del budget UE) è stato speso in progetti relativi alla produzione animale. L’allevamento per la produzione di carne e latte per il mercato globale è dunque un business industriale mantenuto artificialmente attivo dai sussidi governativi dei paesi industrializzati. Troppo poco spazio – secondo la LAV – è dedicato alla promozione della coltura di proteine vegetali per consumo umano nella PAC.
In Europa la percentuale di terre coltivate a legumi costituisce il 3% delle terre coltivate nell’Unione Europea, con una variazione negli Stati Membri tra l’1% e il 5%. Il 70% di prodotti proteici vegetali sul mercato UE sono importati soprattutto dal Sud America e dagli Stati Uniti, la quasi totalità è destinata alla produzione di mangimi.