Ci limitiamo a due piani di analisi del voto politico, uno attinente l’impianto e l’altro i contenuti.

Ci limitiamo a due piani di analisi del voto politico, uno attinente l’impianto e l’altro i contenuti. Il primo, il principale, non può non riguardare le regole del gioco: le tanto temute conseguenze del sistema elettorale di Calderoli, il cosiddetto “Porcellum”, spada di Damocle delle ultime tornate elettorali, stavolta si sono verificate appieno, determinando di fatto l’ingovernabilità al Senato, a meno di larghe intese che ripresenterebbero scenari da governo tecnico.

E le responsabilità di questo disastro, che avrà pesanti conseguenze anche economiche e di politica internazionale, non sono certo fuori dal Parlamento. Il secondo piano investe le performance. Queste premiano le capacità carismatiche e di lettura del Paese non solo di Beppe Grillo, il vero vincitore di queste elezioni con la “conquista” di un elettore italiano su quattro, ma anche e soprattutto di Silvio Berlusconi.

Due prove con molti punti in comune. Entrambi, ad esempio, hanno condotto praticamente da soli la campagna elettorale. Con dinamismo anche muscolare (soprattutto in rapporto all’età, si pensi alle 77 tappe dello Tsunami tour) e con maestria fuori dal comune. Con toni radicali e a volte aggressivi. Tra i due, però, il comico genovese ha avuto un compito più facile, impersonando il ruolo vincente – del resto non nuovo – di paladino dell’anti-politica in tempi di crisi.

Così, se lui ha puntato sulla dimensione onirica, comunitaria e collettiva della società (cara soprattutto all’elettorato di sinistra, ma presentata in un impianto di destra che ha garantito la trasversalità dei consensi), il Cavaliere ha viceversa toccato la sfera individuale e gli interessi personali degli italiani manipolando agevolmente un tema per lui non nuovo, quello delle tasse. Con questo peana ha saputo recuperare il proprio elettorato, quello che lo aveva tradito alle ultime amministrative in roccaforti storiche del centrodestra (si pensi a Milano, Como, Monza e Cantù), mentre il centrosinistra, che aveva beneficiato di quelle disaffezioni, non è stato in grado di polarizzare nuovi consensi, preferendo una strategia attendista.

Insomma, Grillo e Berlusconi si sono paradossalmente integrati, il primo riscattando le istanze sociali pubbliche (ambiente, acqua pubblica, lotta alla Tav, ecc.), il secondo riprendendosi le tematiche economiche che toccano le tasche degli individui, degli imprenditori, delle famiglie. Non a caso il Cavaliere, vera sorpresa (ma fino ad un certo punto) di queste elezioni, ha fatto il pieno di voti soprattutto nelle zone più produttive – evidente il caso della Lombardia, ma anche quello più clamoroso nella Puglia di Vendola, dove il Pdl ha superato il 30% – intercettando soprattutto le disperate richieste del tessuto imprenditoriale strozzato tra gabelle, recessione e burocrazia.

Tanti hanno rivotato a destra, probabilmente con meno entusiasmo del solito; hanno cioè premiato l’unica offerta in campo capace d’inserire tali temi in agenda. Specie dopo l’esclissi di Giannino, che non a caso in Veneto ha ottenuto i migliori risultati (67mila voti, pari al 2,1%). Altri, su questo stesso fronte, hanno premiato Grillo (in particolare nei distretti industriali, il risultato oltre il 30% nelle Marche è indicativo), alfiere delle proposte di abolizione di Equitalia e di non pignorabilità della prima casa.

C’è un altro dato che avvicina i due vincitori: l’euroscetticismo. Espresso come rifiuto, tipicamente italiano, della politica del rigore economico. Bocciando nettamente quell’europeismo dai contorni oscuri e algidi personificato da Mario Monti. Questo vero e proprio tsunami ha determinato le altre sorprese, che hanno interessato tutto il quadro politico. I pesanti flop di Fini e Di Pietro, protagonisti di primo piano della scorsa legislatura. Monti lontano dalle aspirazioni e non determinante al Senato, Casini residuale. La figuraccia di Ingoia, che di fatto ha indebolito la sinistra risultando decisivo in alcune regione conquistate dal centrodestra (come l’Abruzzo o la Calabria). Ma anche l’inaspettato sconforto del Pd derivante dalla non autosufficienza al Senato e da un’instabilità da sconfiggere con un vero e proprio miracolo. Pena burrasche all’orizzonte.


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