A breve, avremo vestiti fatti con capelli e alghe per rispettare l’ambiente
Allarma da Via Montenapoleone; l’industria della moda è alla ricerca di soluzioni innovative per ridurre l’impatto ambientale. Oggi ci si deve ispirare all’economia circolare e studiare alternative “vegan friendly“. Ma resta aperta la madre di tutte le domande: i consumatori sono disposti a pagare di più per questi prodotti?
L’industria del fashion ha un impatto consistente sull’ambiente. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), contribuisce per una percentuale compresa tra il 2 e l’8% alle emissioni globali di gas a effetto serra. Ma è anche responsabile del 9% delle microplastiche disperse negli oceani e consuma circa 215mila miliardi di litri di acqua all’anno.
Il cotone è tra le fibre tessili naturali più utilizzate, ha bisogno di molta acqua ed è associato a un massiccio utilizzo di pesticidi. Le fibre sintetiche, come il poliestere e il nylon, sono realizzate con polimeri ottenuti da derivati del petrolio e ad ogni ciclo di lavaggio rilasciano microplastiche nell’ambiente. E cosa dire dell’industria conciaria e della pelle, che, oltre a richiedere un elevato consumo di acqua e a produrre una grande quantità di rifiuti speciali, viene spesso accusata dagli ambientalisti di aggravare la piaga della deforestazione in Amazzonia?
Insomma, la sostenibilità è diventata un imperativo per il settore moda. Ecco perché diverse startup cercano alternative più ecologiche rispetto ai materiali tradizionali.
Chi aveva pensato ai capelli?
Ad Amsterdam si è dato vita nel 2021 a Human Material Loop, la cui mission è recuperare da saloni di bellezza e negozi di parrucchieri i capelli umani tagliati, per farne indumenti. Si stima che ogni anno soltanto in Europa vengano tagliati capelli per un peso complessivo di circa 72 milioni di chilogrammi. Il materiale tricologico ha un rapporto resistenza-peso simile all’acciaio: una chioma di capelli potrebbe addirittura tenere sospesi in aria due elefanti adulti (circa 12 tonnellate). Il merito è della cheratina. Il filato ricavato dai capelli umani, dopo un processo di pulizia e trattamento, avrebbe dunque caratteristiche molto simili alla lana, stando a quanto riporta la startup, con il vantaggio di essere completamente cruelty free. E perché non si è ancora fatto? L’ostacolo principale è rappresentato dai costi. Per quanto i capelli tagliati siano una materia prima sostanzialmente gratuita, il processo di raccolta e lavorazione può essere molto dispendioso. Il materiale creato con i capelli umani è attualmente più costoso della lana, del cotone o del poliestere, e lo sarà fintantoché non avremo sviluppato i giusti processi industriali.
La pelle dai funghi
Dalla Silicon Valley giunge la storia di MycoWorks, startup che ha sviluppato un biomateriale ottenuto da filamenti di micelio (l’apparato vegetativo dei funghi per sostituire la pelle di origine animale. Oggi sta collaborando niente meno che con Hermès. Il tessuto prodotto riproduce l’aspetto e la consistenza del pellame, conservandone le caratteristiche di resistenza e durevolezza, con il vantaggio di essere completamente a base vegetale. Purtroppo un singolo cappello supera gli 800 dollari.
Il contributo delle alghe
In Israele ha sede la startup Algaeing, che intende utilizzare le alghe per creare fibre cellulosiche, la cui produzione è a spreco zero e carbon negative (cioè, in grado di contribuire alla cattura di CO2 dall’atmosfera). Le alghe sono fornite da un’altra azienda israeliana, Algatech, che le coltiva in fattorie verticali alimentate ad energia solare.
Economia circolare anche da noi
Ma anche in Italia ci sono giovani realtà che si stanno adoperando per rendere più sostenibile l’industria tessile. A Catania c’è Orange Fiber, che ha realizzato e brevettato dei tessuti ecosostenibili di alta qualità a partire da sottoprodotti della lavorazione delle arance, una delle colture simbolo del territorio siciliano. Già dal 2017 ha avviato una collaborazione con Salvatore Ferragamo e più di recente con lo storico brand di sartoria napoletana Marinella.
In Trentino c’è Vegea, che ha creato un innovativo tessuto vegetale a basso impatto utilizzando come materia prima le vinacce, ovvero ridando valore agli scarti dalla produzione vinicola. Le potenzialità legate a questo tipo di tessuto sono davvero notevoli. Anche Vegea, che è nata nel 2016, può vantare collaborazioni prestigiose, come quelle con H&M, Stella McCartney e la casa automobilistica Bentley, che ha scelto di utilizzare il tessuto ecologico a base di uva per gli interni di alcune delle sue auto.