Anno nuovo, clima vecchio. Sembra essere questo il refrain d’inizio anno. E certo per cambiare lo stato delle cose sarà necessario un impegno serio da parte di tutti gli stati.
Ma il 2012 sarà ricordato per essere stato capace di contenere fenomeni climatici diversi ed opposti nel breve spazio di 365 giorni.

Basti ricordare le temperature polari con la relativa emergenza neve dello scorso febbraio, di cui stiamo assistendo ad un preoccupante bis in questi giorni in Russia. Oppure alla siccità terribile di cui abbiamo sofferto quest’estate, siccità che ha duramente colpito il mercato delle commodities andando ad incidere pesantemente sul prezzo delle materie prime alimentari.

La stagione degli uragani è stata più lunga del normale e si è conclusa con la furia di Sandy che ha mietuto vittime (190 secondo il bilancio ufficiale) per migliaia di chilometri dai Caraibi agli Appalachi. L’autunno è stato il terzo più caldo dal 1800 e complessivamente l’estate si è classificata solo alle spalle del tremendo 2003 per calore sviluppato. Cioè, la seconda più calda degli ultimi 200 anni!

Insomma, appare ormai chiaro a tutti che sull’emergenza clima non è possibile perdere tempo. Molti stati “pesanti” hanno in agenda l’introduzione di una tassazione severa sull’emissione di co2. ma la misura in questa fase recessiva è a dir poco improponibile. Ma dopo gli impegni (non così pressanti) assunti in occasione delle conferenze di Durban e di Doha, è arrivato il momento di dare un segnale di cambiamento nelle politiche ambientali mondiali.

Cioè assume dimensioni economiche ragguardevoli, se solo consideriamo che le compagnie di assicurazione e riassicurazione hanno dovuto sborsare 50 miliardi di dollari per i danni provocati dal maltempo negli ultimi 12 mesi; bisognerà tenere in considerazione anche questo elemento in seno al dibattito.