Mentre al mercato di Tokyo un singolo esemplare di tonno rosso è stata venduto per ben 1,7 milioni di dollari, i ricercatori americani lanciano l’allarme: negli ultimi 20 anni, nel Pacifico, gli stock sono crollati del 96,4% in seguito al sovrasfruttamento delle risorse ittiche messo in atto dall’industria della pesca.
“Se si continuerà a depauperare gli stock ittici a questo ritmo – spiega il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri – nel giro di pochi anni potremo includere il tonno rosso tra le specie scomparse dalla faccia della terra a causa delle attività umane”.
Occorre, in altri termini, adottare un nuovo approccio che non sia limitato al semplice “contenimento dei danni” ma preveda uno stop definitivo alla pesca. “Com’era preventivabile – prosegue Ferri – la politica delle quote di pesca, soprattutto per i grandi predatori come tonni e pescespada si è rivelata fallimentare poiché non affronta il problema alla radice: se si vuole la sopravvivenza del tonno rosso e di molte altre specie, l’unica cosa da fare è smettere di pescarle. Co-responsabili di questa scellerata politica anche le grandi associazioni ambientaliste che sostengono attività ormai non più compatibili con la tutela della biodiversità e di tutto l’ecosistema marino”.
E’ opportuno ricordare, tra l’altro, che la stragrande maggioranza dei tonni rossi catturati nel Pacifico – addirittura il 90% – è costituita da esemplari giovani che non hanno ancora terminato il proprio ciclo riproduttivo. Dunque, le attività di pesca oltre a determinare un impoverimento netto della popolazione di tonni rossi, l’industria ittica ne compromette seriamente le capacità riproduttive.
“Naturalmente il problema esiste anche nel Mediterraneo – conclude Ferri. “Per questo, prevedere aumenti delle quote proprio nel momento in cui gli stock sembrano dare timidi segnali di ripresa è una decisione irresponsabile e controproducente. Bene hanno fatto invece i cuochi di alcuni ristoranti a bandirlo dai menù. I decision makers dovrebbero seguire il loro esempio e non cedere alle pressioni dell’industria della pesca”.