Un’occasione persa. La campagna elettorale in corso sta accentuando tutte le difficoltà e soprattutto lo scarso impegno dei partiti tradizionali nell’assumere il responsabile e ambizioso ruolo di guida dell’elettorato.
Un’occasione persa. La campagna elettorale in corso sta accentuando tutte le difficoltà e soprattutto lo scarso impegno dei partiti tradizionali nell’assumere il responsabile e ambizioso ruolo di guida dell’elettorato.
Cioè di rappresentare con intelligenza e con lungimiranza i principali interessi collettivi, indirizzandoli verso le più decorose prospettive storiche. Parliamo di tematiche blasonate al centro di ogni democrazia occidentale come la salvaguardia dei diritti, la difesa dei principi costituzionali, la giustizia sociale, il bene comune, la libertà individuale, la partecipazione collettiva.
Viceversa sta prevalendo un diffuso ripiegamento “conservatore” verso la funzione – più comoda e immediata (nella sua estemporaneità) – di captare gli umori manifesti dell’opinione pubblica, intesi principalmente come somma di istanze individuali, spesso corporative. Secondo una prassi in uso da molto tempo nel nostro Paese. Il disordinato moltiplicarsi delle promesse elettorali, spesso ridotte a meri slogan populistici, la spregiudicata gestione dell’immediato e il continuo ping pong di diatribe verbali tra i candidati sugli analoghi “tavoli di lavoro” confermano la confusione di tale quadro.
La conseguenza più immediata è la sensazione che ogni scelta nell’urna sarà subordinata all’incertezza non solo ideologica, ma soprattutto del quadro complessivo futuro delle alleanze. Se un tempo, soprattutto a sinistra, le forze politiche incarnavano il compito di “educare” le masse, saldando bisogni e risposte, oggi la maggior parte dei partiti prova principalmente a rincorrere gli elettori, nemmeno più aderendo alle speranze, sempre più flebili, quanto piuttosto agli interessi privati.
Cioè il consenso è intercettato, con crescente fatica, per aderenza allo stato delle cose, appunto in modo “conservatore”, finendo per favorire coloro che, viceversa, incitano al cambiamento, talvolta in modo strumentale e demagogico. Il tema, paradossalmente accentuato dalle cronache vaticane di questi giorni, è quello della responsabilità dell’esercizio del potere.
L’etica, la serenità, gli slanci ideali, le ambizioni storiche, i progetti di ampia prospettiva a sostegno del bene comune incarnano componenti essenziali nella buona applicazione del potere. Se tali fattori vengono meno, come nel caso di una politica vittima dell’autoreferenzialità, dell’accaparramento privatistico, del clientelismo e dell’autoconservazione dei privilegi, è inevitabile lo scollamento crescente tra partiti e fette crescenti di società. La qualità etica della politica, insomma, non è un artificio da moralisti.