L’Italia è un Paese ancora poco digitalizzato e a due velocità nel suo sviluppo nel settore, dove reddito, istruzione ed età fanno la differenza e che vede nei giovani i “traghettatori verso la modernità, nonostante tutto”. E’ questo, in estrema sintesi, il quadro delineato nella “Relazione annuale”, presentata in Parlamento, dal presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Angelo Marcello Cardani.

“L’attendismo dei mercati, la responsabilità della politica e le difficoltà della regolamentazione, e infine la crisi” hanno rallentato lo sviluppo digitale in Italia”. Il nostro Paese figura al quarto posto in Europa nella non invidiabile classifica del numero di individui che non ha mai avuto accesso a internet (37,2% contro una media UE di 22,4%). Ma nello stesso tempo siamo il Paese in Europa in cui gli internauti hanno la più alta frequenza di accesso (oltre il 91% di essi accede regolarmente ogni giorno, contro una media Ue del 79%).

38 milioni di italiani dichiarano di accedere a internet da qualunque luogo e device, ma l’accesso alla rete non favorisce la gamma di utilizzo delle attività on line. L’analisi dell’Agcom evidenzia come esista una doppia velocità nello sviluppo digitale, misurata in reddito, istruzione ed età, e che una fetta di popolazione resta drasticamente ai margini della rete.

Le famiglie che al 2012 avevano una connessione a banda larga su cavo erano il 49%, ma quelle connesse con almeno un minorenne al suo interno erano il 71%. Le classi di età che hanno usato maggiormente internet nell’ultimo anno sono quelle comprese tra i 15 e i 19 anni, circa il 5% della popolazione. Alle spalle, sotto i 15 anni, ci sono circa 8 milioni di ragazzi e bambini (13% della popolazione) che si affacciano a questo mercato come “nativi digitali” e che promettono un moltiplicatore di traffico per l’Italia maggiore di quello di Gran Bretagna, Germania e Francia.

Dal lato dell’offerta, “nel momento in cui la pervasività delle tecnologie Ict e la loro intensità di utilizzo sono sotto gli occhi di tutti, il comparto delle telecomunicazioni sembra aver perso centralità. In Italia il contributo al Pil dei servizi di telecomunicazioni sconta la congiuntura negativa, anche se meno di altri servizi, passando dal 3,2% del 2006 al 2,4% del 2012”.

Serve insomma un salto di qualità, a partire dagli investimenti nel settore, per segnare una discontinuità, “per consentire il passaggio alle reti di nuova generazione (fissa e mobile) e lo sviluppo dell’architettura Ip”, perché “le nuove reti stentano a svilupparsi in Italia ancor più che in Europa”.