Oltre il 40% delle perdite e degli sprechi alimentari nei paesi in via di sviluppo avviene nelle fasi di post-raccolta e trasformazione, mentre nelle nazioni industrializzate la stessa quantità di perdite e si verifica nella fase della vendita al dettaglio e comunque a carico del consumatore finale.
Capire quindi quando c’è perdita o spreco è importante per instituire un sistema alimentare più sostenibile.
Basta pensare a come viaggia ciò che mangiamo e al suo percorso lungo l’intera filiera, dal campo alla tavola. Studi della FAO mostrano che un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano non raggiunge la tavola.
Alla fine della catena alimentare, i consumatori possono buttar via gli eccessi di cibo, lasciarlo deperire o sviluppare altri comportamenti che finiscono con lo sprecare alimenti inutilmente. La “perdita” alimentare avviene in precedenza nella filiera e di solito non la si vede. A causa delle inefficienze nella produzione e nella trasformazione alimentare, il cibo può perdere valore nutrizionale ed essere scartato addirittura prima di raggiungere il consumatore. In entrambi i casi registriamo una perdita alimentare.
Secondo StjepanTanic, capo economista della Fao, la differenza tra i due termini si nota ancora di più mettendo a confronto Europa e Asia centrale. Generalmente, l’Unione Europea, ma in generale vale per tutti i Paesi ad alto reddito, registra livelli di rifiuti alimentari decisamente più elevati ed è per questo che stanno lanciando campagne di informazione e altre iniziative per ridurre gli sprechi. Le nazioni a reddito medio-basso non sprecano così tanto cibo, e ciò per via della più scarsa fornitura, del potere d’acquisto più basso e della minore richiesta di preferenze qualitative. Al contrario, perciò, lottano contro la perdita di cibo.
I veri punti deboli della catena del valore alimentare sembrerebbero quindi essere agricoltori e trasformatori, che utilizzano macchinari e tecnologie datate e i sistemi di produzione alimentare rimangono disorganizzati e frammentati. La mancanza di accesso a equipaggiamenti specializzati per trasporto, trasformazione, refrigerazione e stoccaggio può solo aggiungere un’ulteriore perdita di cibo in fase di raccolta, post-raccolta e stoccaggio.
Al fine di promuovere investimenti nella riduzione di perdite e sprechi, per prima cosa i governi necessitano di creare ambienti commerciali stabili e a basso rischio con regolamentazioni trasparenti e coerenti. I politici possono anche considerare i programmi di sviluppo che supportino le organizzazioni di produttori come le cooperative.
Incoraggiare i piccoli agricoltori a cooperare, ad unirsi, può accrescere l’accesso al credito e aiutarli a fornire i loro prodotti a nuovi mercati nella maniera più efficiente possibile, oltre che a strappare prezzi meglio remunerativi sul mercato alimentare. Eliminare gli sprechi alimentari dei consumatori dei paesi ad alto reddito non si traduce automaticamente nel fatto che le nazioni a basso reddito avranno di più da mangiare. Ridurre però sia le perdite sia gli sprechi può incentivare le entrate e migliorare l’accesso agli alimenti ai gruppi considerati vulnerabili e alle regioni a rischio.
Inoltre, si eliminerebbe la profonda impronta ecologica delle perdite e degli sprechi alimentari. Ogni anno, il mondo utilizza un volume di acqua equivalente al flusso annuale del fiume russo Volga – e aggiunge 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra all’atmosfera del pianeta – e solo per produrre il cibo che non si mangia.
Il Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, ha affrontato questa problematica e il Parlamento Europeo ha chiesto agli Stati membri di ridurre le perdite e gli sprechi del 50% entro il 2025. Nel frattempo la FAO continuerà a supportare gli sforzi fatti finora con l’iniziativa globale “Save Food“.