L’Unione Coltivatori Italiani e le imprese del settore agricolo dall’Uci stessa rappresentate, pongono molta attenzione alle operazioni fraudolente che vengono poste in atto lungo le filiere agroalimentari, nonché alle azioni di contrasto realizzate dai vari organismi di controllo come Carabinieri del Nas e del Nac, Ispettorato per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari e repressione delle frodi, Guardia di Finanza, Corpo forestale dello Stato e altri organismi anche a livello regionale e territoriale.
Nel corso dell’anno 2011 è stato registrato un crescente interesse dei consumatori verso le problematiche alimentari sia in termini di valutazione della sicurezza igienico sanitaria degli alimenti e sia in termini economici. La crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Italia si è manifestata a livello delle famiglie in una contrazione della spesa sostenuta per l’alimentazione e di conseguenza in una maggiore valutazione dei prodotti alimentari da acquistare. La spesa alimentare media della famiglia media italiana si aggira intorno a 450 euro al mese ed ha subito nel corso del 2011 una riduzione sia in valore assoluto che in termini di potere di acquisto per effetto della svalutazione monetaria e della fase recessiva che sta attraversando la nostra economia.
La spesa alimentare è però la conseguenza di una domanda di generi alimentari molto anelastica nel senso che gli alimenti costituiscono un bene primario di cui non è possibile fare a meno per cui a fronte di una ridotta disponibilità finanziaria, si rende necessario effettuare le scelte dei prodotti da acquistare oltre che in termini economici anche in termini qualitativi. Il consumatore, quindi, riduce in maniera non significativa la quantità di alimenti acquistati ma ricerca prodotti di minor costo, ma che nello stesso tempo non siano di qualità scadente e soprattutto non pregiudichino i requisiti della sicurezza igienico-sanitaria.
Nel corso dell’anno 2011 abbiamo quindi constatato un atteggiamento dei consumatori orientato a valutare con maggiore disponibilità e attenzione i prodotti alimentari provenienti direttamente dal settore agricolo e da quello della prima trasformazione. I prodotti alimentari a km zero offrono, infatti, tra gli altri vantaggi, quello di ristabilire un rapporto fiduciario tra il produttore e il consumatore.
Nella situazione di crisi che vive la nostra economia e soprattutto la nostra società, è stato riscoperto e rivalutato il rapporto diretto di fiducia tra il fornitore del bene e il consumatore. Lo sviluppo della grande distribuzione organizzata aveva di fatto soppiantato il rapporto diretto nel quale la figura del piccolo distributore era fondamentale per rassicurare il consumatore su tutti gli aspetti di carattere merceologico ed igienico sanitario del prodotto offerto. Fino a pochi decenni addietro, infatti, il gestore della piccola distribuzione era punto di riferimento in quanto era in grado di fornire informazioni sull’origine del prodotto, sulla sua qualità oltre che consigliare il consumatore sul rapporto prezzo qualità di ogni singolo alimento. I consumatori quindi pur non ritrovando questa rassicurante figura di imprenditore commerciale hanno imparato a comprendere che i prodotti alimentari provenienti dal territorio, ripropongono, seppure in chiave moderna, un colloquio diretto o almeno più immediato con il fornitore.
La grande distribuzione organizzata che costituisce pur sempre una realtà di cui la nostra società come quelle dei paesi più sviluppati, non può fare a meno, ha dovuto necessariamente valorizzare questi aspetti attraverso un’offerta più personalizzata e in grado di fornire le garanzie che il consumatore richiede in termini di qualità, prezzo e sicurezza agroalimentare. Nella stragrande maggioranza dei supermarket si ritrovano infatti i corner con addetti dedicati alla carne, alla salumeria, all’ortofrutta e al pesce in modo da personalizzare il rapporto con il cliente consumatore. Il supermercato è divenuto così un vero e proprio centro commerciale agroalimentare che riunisce sotto l’univoca sigla del supermercato, che fa da garante, i vari soggetti specializzati nelle rispettive tipologie agroalimentari.
Il consumatore quando ha finito i suoi acquisti, ha un solo scontrino rilasciato dal titolare del marchio del supermercato ma in effetti ha interagito con i vari responsabili di settore. I consumatori quindi ritornano a fare i loro acquisti colloquiando con il personale specializzato del settore come avveniva alcuni decenni addietro recandosi nel piccolo negozio rionale. Accanto a questo sviluppo delle relazioni dirette tra consumatore e fornitore si è sviluppata una politica di “private labell” da parte dei gestori della Gdo.
Le maggiori e più prestigiose catene di supermarket sono infatti in grado di offrire ai consumatori prodotti preconfezionati ed etichettati con marchio del distributore. Lo sviluppo di questo tipo di offerta ha interessato quasi tutti i settori merceologici dell’agroalimentare e riconferma come i consumatori abbiano bisogno di ricevere garanzie precise di carattere economico e qualitativo da parte di un soggetto che li rassicura con il proprio nome. Il consumatore si è reso sempre più conto che i prodotti alimentari offerti con il marchio della catena di distribuzione rappresentano la migliore offerta in termini di rapporto qualità prezzo. Questa forma di commercializzazione sta tornando vantaggiosa anche per i produttori che stipulano accordi con la Gdo per la fornitura dei prodotti .con marchio del supermercato. Diversamente sarebbe, infatti più difficile per i produttori sia del settore primario che della trasformazione soddisfare una domanda della Gdo per gli stessi prodotti che conservano però il marchio aziendale del produttore. L’offerta di un prodotto a marchio Gdo è in grado di soddisfare una domanda maggiore che non un’offerta dello stesso prodotto fatta con marchio aziendale. E’ auspicabile quindi, per i produttori agricoli e della trasformazione, che si rafforzi questa forma di commercializzazione in quanto si recuperano sempre a favore dei produttori margini di valore aggiunto che diversamente sarebbero destinati ad altri soggetti della filiera e maggiormente a quelli dell’intermediazione.
Tra gli altri vantaggi possono essere ricordati quello di una maggiore conoscenza degli orientamenti dei consumatori e quindi un migliore controllo delle fluttuazioni di mercato, oltre che una ripartizione più proporzionata dei rischi delle vendite. I consumatori, però, hanno continuato a doversi difendere dalle frodi messe in atto da operatori disonesti che cercano di offrire prodotti, sofisticati, adulterati e, nel migliore dei casi, etichettati con menzioni mendaci e riferite a qualità che i prodotti stessi non possiedono. E’ evidente che i fenomeni fraudolenti non costituiscono solamente un pericolo per i consumatori ma incidono negativamente e pesantemente proprio sul settore agricolo. Occorre rilevare che le frodi nel settore agroalimentare sono poste in atto, il più delle volte al di fuori dell’azienda agricola e da parte di soggetti imprenditoriali che si pongono in uno dei segmenti della filiera successivi a quello agricolo e che, nei casi più gravi di frode, come le sofisticazioni, impiegano materie prime non agricole.
E’ però evidente il danno oltre che di immagine soprattutto economico, che ne deriva al mondo agricolo e agli agricoltori, in quanto si viene a realizzare una sostanziale forma di concorrenza sleale contro la quale gli agricoltori non hanno nessuna arma per poter opporre un significativo contrasto. Il danno più grave, quindi, è per gli agricoltori i quali trovano difficoltà crescenti nella collocazione delle loro produzioni per effetto della concorrenza esercitata dalle produzioni ottenute con sistemi fraudolenti ed ingannevoli.
E’ evidente che allorquando la frode riguarda solo la sostituzione della materia prima del prodotto agroalimentari con altra più a buon mercato in quanto solitamente proveniente dall’estero, non ne deriva un danno salutistico nei confronti del consumatore ma solo una pratica ingannevole nei suoi riguardi. L’azione di contrasto svolta dei vari organismi di controllo operanti sul territorio è fondamentale per poter scoprire e reprimere violazioni fraudolente alle normative vigenti e per sanzionarle adeguatamente come prevede la stessa normativa per cui è necessario che tale azione sia svolta al livello più elevato.
Nello stesso tempo è necessario che il quadro normativo sia definito in modo puntuale senza dare adito a dubbi e interpretazioni che hanno il solo vantaggio di allentare la guardia e consentire ai frodatori di violare le norme stesse. L’anno 2011 verrà ricordato per la promulgazione di una legge nazionale e di un regolamento comunitario che costituiscono i capisaldi per migliorare la commercializzazione dei prodotti agroalimentari e fornire ai produttori e ai consumatori punti di riferimento certi e soprattutto una maggiore trasparenza alla domanda e all’offerta.
La legge 3 febbraio 2011, n. 4 recante disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, costituisce la novità più importante in quanto contiene le modalità di individuazione del luogo di origine o provenienza. In particolare si distingue tra: prodotti alimentari non trasformati, per i quali l’indicazione riguarda il paese di origine ed eventualmente la zona di produzione; prodotti alimentari trasformati, per i quali l’indicazione concerne il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata. Nel caso poi di indicazione in etichetta di un elemento caratterizzante, viene fatto obbligo di indicare anche per questo l’origine.
La nuova legge stabilisce anche l’obbligo di indicare gli ingredienti di un alimento che contengono tracce di Ogm in qualsiasi fase della catena alimentare dal luogo di produzione fino al consumo finale. Le sanzioni pecuniarie per coloro che omettono di indicare in etichetta l’origine o la provenienza nonché le altre indicazioni relative alla presenza di Ogm negli ingredienti vanno da un minimo di 1.600 a 9.500 euro. Con questa legge l’Italia si è posta all’avanguardia nella tutela dei consumatori e presto le carni suine, ma anche quelle di agnello come il latte a lunga conservazione dovranno far sapere a chi compra da dove vengono, ma anche la frutta e la verdura trasformata, vedi in particolare le aranciate e le spremute di arancia, un comparto dove il prodotto d’origine italiano subisce una forte concorrenza da parte dei succhi congelati provenienti da paesi extra Ue.
La legge n. 4/2011 nonostante sia stata promulgata a febbraio 2011 è però destinata a rimanere nella raccolta delle leggi dello Stato e magari ad essere cancellata non appena si metterà mano ad un nuovo provvedimento taglia leggi per eliminare le norme inutili e non applicate. Per il momento l’unico risultato che la legge ha consentito di ottenere è stato di carattere politico e conseguentemente mediatico per affermare l’interesse del Ministero per le politiche agricole alle problematiche sull’indicazione di origine sulle etichette dei prodotti alimentari. La stessa Commissione europea all’indomani della promulgazione della legge si affrettò a comunicare al nostro Governo che la legge era quantomeno inopportuna in quanto Parlamento e Ministri stavano portando avanti una proposta di regolamento della Commissione stessa per introdurre progressivamente l’indicazione dell’origine. La legge è rimasta subito congelata in quanto i decreti ministeriali applicativi che dovevano peraltro essere emanati entro 60 giorni dalla promulgazione della legge, per fissare le modalità di indicazione dell’origine con riferimento a ciascuna filiera produttiva non hanno, a tutto oggi visto la luce.
I decreti ministeriali dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dello sviluppo economico, devono peraltro essere emessi oltre che di concerto tra i due Ministri anche: d’intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale nei settori della produzione e della trasformazione agroalimentare, acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
Una procedura quindi piuttosto complessa con tempi di conclusione non facilmente valutabili e quantificabili se non per i trenta giorni concessi alle Commissioni parlamentari, trascorsi i quali, il parere si intende reso. Ma in realtà il passaggio presso le Commissioni parlamentari avviene solo alla fine del procedimento e prima della definitiva pubblicazione dei decreti stessi. L’ultimo comma dell’articolato della legge che introduce l’obbligo di indicazione dell’origine o della provenienza rallenta ancora la sua pratica attuazione e nello stesso tempo tranquillizza gli operatori in quanto si afferma che anche dopo che i decreti ministeriali avranno superato il lungo e travagliato iter e verranno quindi emanati, le norme in essi contenute e quindi i relativi obblighi, andranno in vigore solo dopo tre mesi e comunque i prodotti già etichettati senza l’indicazione dell’origine o della provenienza potranno liberamente circolare per altri sei mesi.
Una legge, quindi, che rappresenta più che altro una precisa dichiarazione d’intenti che pone però un punto fermo nella politica di trasparenza nei confronti del consumatore che deve essere messo in condizioni di poter effettuare scelte consapevoli, ma che proprio per queste motivazioni deve ora subire un processo di accelerazione per essere resa operativa. L’occasione per dare un accelerazione alle procedure attuative è ora costituita dall’emanazione del nuovo regolamento comunitario in materia di etichettatura dei prodotti alimentari. Le procedure di recepimento del nuovo regolamento non devono invece essere un motivo in più per rallentare l’introduzione delle nuove norme, ma piuttosto rappresentare uno stimolo in più a rendere più trasparente la commercializzazione dei prodotti agroalimentari.
Il regolamento sulle nuove indicazioni riguardanti l’etichettatura dei prodotti agroalimentari è stato approvato ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 novembre 2011 ed è entrato in vigore dopo venti giorni e cioè il 12 dicembre 2011. Ma ciò non vorrà assolutamente significare che l’etichettatura dei prodotti alimentari è completa delle nuove indicazioni. Il regolamento 1169/2011 stabilisce infatti, che le nuove regole e cioè le modalità di etichettatura e relative menzioni, dovranno essere applicate al massimo entro tre anni, che diventano cinque per le informazioni nutrizionali, e cioè non appena, tali norme, verranno recepite nella normativa nazionale. In Italia le disposizioni del nuovo regolamento dovranno infatti andare a integrare la normativa vigente in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che ha come punto di riferimento il Decreto legislativo 109/92 più volte modificato ed integrato in periodi successivi.
E visto che la regolamentazione comunitaria concede tre anni di tempo o addirittura cinque per aggiornarsi, si approfitterà di questa moratoria di fatto, per compenetrare in modo armonico le varie esigenze degli operatori della filiera e dei consumatori. I tre e i cinque anni di tempo concessi dal regolamento comunitario per dare attuazione alle nuove norme, sono stati fissati per tener conto del tempo necessario a superare le non poche difficoltà di carattere operativo che si dovranno affrontare per modificare le etichette dei prodotti agroalimentari. Le novità di cui ridonda il regolamento sono numerose ma in alcuni casi si tratta anche di dare sistematicità e chiarezza alle indicazioni che in parte già oggi si trovano in etichetta, oltre che aggiungerne di nuove.
La novità più rilevante per l’Italia è costituita senza dubbio dal fatto che gli alimenti confezionati dovranno riportare la tabella nutrizionale con l’indicazione di sette elementi e cioè valore energetico, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, proteine, zuccheri e sale, riferiti a 100 g o 100 ml di prodotto, che potrà essere affiancata da dati riferiti ad una porzione. Si possono utilizzare altri schemi solo se di facile comprensione come i semafori attualmente molto utilizzati nel Regno Unito. Già oggi nei vari Stati membri compresa l’Italia, seppure in misura ridotta, sono in vendita prodotti alimentari che riportano l’etichetta nutrizionale per cui la novità consiste nell’obbligo applicabile al massimo tra cinque anni e nella lista degli elementi che dovrà essere uguale per tutti. Anche la novità costituita dall’ obbligo indicare il Paese d’origine o il luogo di provenienza per la carne suina, ovina, caprina e il pollame rappresenta un modo organico di gestire tutto il settore delle carni visto che tale obbligo è in vigore da oltre un decennio per la carne bovina a livello europeo e per la carne di pollame a livello italiano.
Il regolamento prevede che questo obbligo entrerà in vigore al massimo entro due anni mentre si riserva cinque per valutare l’eventualità di estendere l’obbligo di indicazione dell’origine:
a) a latte e prodotti non trasformati mono-ingrediente;
b) ad alcuni ingredienti come il latte nei prodotti lattiero-caseari, la carne nella preparazione di altri cibi o altri quando rappresentano più del 50% dell’alimento.
Le diciture obbligatorie, le indicazioni nutrizionali e quelle relative all’origine dovranno essere nello stesso campo visivo della denominazione di vendita. Viene anche confermata la maggiore attenzione verso le persone che soffrono di allergie per determinate sostanze alimentari in quanto il nuovo regolamento stabilisce che le sostanze allergizzanti dovranno essere evidenziate in grassetto o in colore. E le informazioni dietetiche si potrà utilizzare il semaforo con i vari colori per indicare i cibi contengono troppi grassi o troppi zuccheri. Fra le altre novità che renderanno sempre più trasparente l’etichetta dei prodotti alimentari si citano le seguenti:
-un alimento congelato o surgelato venduto scongelato deve riportare sull’etichetta la parola “scongelato”;
– la carne, le preparazioni di carne e i prodotti della pesca proposti come una fetta o un filetto ma composti da diversi pezzetti uniti con additivi o enzimi devono specificare che il prodotto è ottenuto dalla combinazione di più pezzi (per esempio:carne separata meccanicamente );
-i salumi insaccati devono indicare quando l’involucro non è commestibile; la scritta “oli e grassi vegetali” deve essere completata con l’indicazione del tipo di oli o grassi utilizzato (es. soia, palma, arachide). Nelle miscele è ammessa la dicitura “in proporzione variabile”;
– La carne, le preparazioni a base di carne e i prodotti ittici surgelati o congelati non lavorati, devono indicare il giorno, il mese e l’anno della surgelazione o del congelamento. Quando la superficie della confezione è inferiore a 10 cm2 è sufficiente riportare le notizie essenziali: denominazione di vendita, allergeni eventualmente presenti, peso netto, termine minimo di conservazione (“da consumarsi preferibilmente entro …”) o data di scadenza (“da consumarsi entro …”).
L’elenco degli ingredienti può essere indicato anche con altre modalità (ad esempio negli stand di vendita) e deve essere disponibile su richiesta del consumatore. I controlli costituiscono lo strumento più efficace per contrastare le frodi ma nel loro svolgimento occorre dare priorità d’azione ai controlli sulle produzioni di qualità e sui prodotti tipici certificati, DOP, IGP e STG, oltre biologici di cui l’Italia è leader a livello europeo. Oltre alle azioni straordinarie di controllo dovrebbero trovare piena attuazione a livello nazionale ed europeo le misure normative che garantiscono la rintracciabilità e la tracciabilità dei prodotti. Ciò permetterebbe di tutelare la sicurezza dei consumatori e di attribuire le giuste responsabilità agli attori che intervengono nei processi di filiera.
All’azione di controllo e di prevenzione delle frodi dovrebbe, infine, essere affiancata una politica di investimenti nella prevenzione, coinvolgendo in primis l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che dovrebbe giocare un ruolo più incisivo nella gestione della sicurezza alimentare, insieme a un’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, la cui proposta di realizzazione è stata ormai cancellata.
Infine, in risposta ai bisogni di sicurezza alimentare dei consumatori, sarebbero auspicabili ulteriori controlli riguardanti la presenza di OGM nei prodotti importati e, in particolare, nelle sementi di mais e di soia destinate alla trasformazione o all’alimentazione animale. Per quanto riguarda gli organi incaricati di effettuare i controlli si registra ancora una pluralità di organismi con analoghe funzioni e senza un’effettiva specializzazione settoriale. In tale scenario acquista rilevanza la realizzazione di un coordinamento indispensabile per ottimizzare il lavoro di tutti gli organismi di controllo.
E’ particolarmente importante mettere insieme le intelligenze e le professionalità a disposizione dello Stato per tutelare i produttori e i consumatori italiani. Lo spunto per dare attuazione ad una riorganizzazione e armonizzazione dei controlli viene ora dalla legge 35/2012 che ha convertito il decreto legge n.5/2012, meglio conosciuto come “decreto semplificazioni”.
L’articolo 14 della legge potrebbe costituire una vera e propria rivoluzione nel controlli sulle imprese comprese quelle agricole sempre che la norma di carattere generale e d’indirizzo abbia, poi concrete applicazioni. Infatti l’articolo 14 della legge 35/2012 afferma senza mezzi termini che “la disciplina dei controlli sulle imprese, comprese le aziende agricole è ispirata ai principi della semplicità, della proporzionalità dei controlli stessi e dei relativi adempimenti burocratici alla effettiva tutela del rischio, nonché del coordinamento dell’azione svolta dalle Amministrazioni statali, regionali e locali”. Il settore agricolo e tutte le filiere agroalimentari lamentano da tempo un vero e proprio accanimento di controlli e di controllori che determina una perdita di giornate lavorative che si va sempre più accrescendo. In passato vi sono stati vari tentativi di coordinamento dell’attività di controllo ma senza ottenere risultati validi in quanto sono spesso prevalse le gelosie e lo spirito di corpo dei vari controllori.
Questa volta la semplificazione dei controlli potrebbe avvenire in quanto le indicazioni operative risultano più puntuali. Le pubbliche amministrazioni infatti sono tenute a pubblicare sul proprio sito istituzionale la lista delle verifiche cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività. Inoltre per ciascun caso saranno indicati i criteri e le modalità di svolgimento delle relative attività. Dovranno poi essere eliminate le ispezioni non necessarie in quanto l’attività di controllo dovrà essere proporzionata al rischio inerente l’attività, nonché alle effettive esigenze di tutela degli interessi pubblici. La norma legislativa impone poi di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli e di arrecare il minor disagio possibile all’attività dell’impresa e di svolgere i controlli stessi in collaborazione con i soggetti controllati.
Inoltre il possesso da parte delle imprese di certificazione del sistema di gestione per la qualità Iso o altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate, da un organismo di certificazione accreditato da un ente di accreditamento designato da uno stato Membro dell’Unione, costituisce un valido motivo per ridurre o eliminare i controlli sull’impresa. Il disposto legislativo costituisce comunque una carta dei doveri e dei diritti del controllore e del controllato per cui non sarà sufficiente inserire quanto richiesto nei siti web istituzionali o emanare qualche circolare applicativa, in quanto si dovrà realizzare un cambio di mentalità degli organismi di controllo e del personale che svolge le verifiche. Il sistema di verifiche che oggi viene attuato, rileva molto spesso come le singole visite siano ispirate più a motivi di opportunità di varia natura che di effettivo rischio dell’impresa controllata.
La conferma è data dal fatto che le aziende più ripetutamente oggetto di verifiche non risultano essere quelle alle quali vengono contestate violazioni particolarmente gravi. I dati sui casi di frode agroalimentare scoperti nel 2011 verranno ampiamente descritti dagli organismi di controllo che effettuano le operazioni di controllo e per questo motivo non vengono segnalati in questo rapporto.
L’UCI semmai dovrebbe solo confermare che i suoi associati sono le vittime incolpevoli delle frodi perpetrate che come è noto raggiungono un valore di alcune decine di miliardi di euro. Né vale la pena di distinguere tra le frodi a danno dei prodotti tutelati e regolamentati come sono le produzioni da agricoltura biologica e i prodotti a denominazione d’origine protetta e a Indicazione geografica protetta, e frodi a danno delle analoghe produzioni convenzionali, in quanto si tratta solo di violazioni più gravi rispetto ad altre, ma lasciano impregiudicato il valore negativo della violazione e della frode.
L’UCI in quanto sindacato di agricoltori intende invece impegnare con la sua segnalazione, la pubblica amministrazione ad intensificare l’azione di contrasto e di controllo alle frodi predisponendo innanzitutto un quadro normativo di riferimento preciso e quindi sviluppando un’azione preventiva di repressione delle frodi e nello stesso tempo di formazione degli operatori per consentirgli il rispetto delle norme stesse. I risultati ottenuti nelle azioni ispettive degli organi di controllo consistenti nel comminare pesanti sanzioni pecuniarie, nel sequestro di ingenti quantità di prodotto e nell’attivazione di procedimenti penali, vengono spesso presentati come trofei di quella guerra contro le frodi che deve essere vinta con la prevenzione e la formazione. Sarebbe auspicabile che i comunicati stampa sull’attività svolta citassero con la stessa enfasi con cui vengono riportate le sanzioni comminate, i casi di controlli che hanno dato luogo a nessuna contestazione.
Ogni volta che viene segnalata la scoperta di una grossa frode nel settore agroalimentare si tratta di una sconfitta del regime dei controlli che non è stato in grado di prevenire l’attività svolta in violazione delle norme. Inoltre tali segnalazioni hanno un duplice effetto negativo sia sui consumatori che sui produttori. I primi infatti sono oggetto di una vera e propria crisi di panico in quanto la frode segnalata nette in dubbio tutte le scelte e valutazioni fatte fino a quel momento con la conseguenza di rinunciare completamente a quella tipologia di prodotto. Quando infatti viene segnalato il sequestro di mozzarelle colorate di azzurro, crolla di conseguenza almeno per una settimana la domanda da parte dei consumatori di tutte le tipologie di quello specifico prodotto. Il comportamento dei consumatori ha un immediato riflesso sul produttore con la conseguenza di mettere in crisi le imprese che non possono certo cambiare produzione così repentinamente a differenza del consumatore che per soddisfare le sue esigenze alimentari può rivolgersi ad altri prodotti similari o sostitutivi.