Si è tenuto nei giorni scorsi a Bergamo un seminario sulla direttiva Nitrati organizzato da Unicaa. Tema centrale della giornata di studio: le procedure applicative della direttiva comunitaria n. 91/676, che costituisce – come è noto – una questione agronomica e ambientale ad elevata criticità in materia di protezione delle acque dai nitrati di origine agricola.

L’incontro, patrocinato dall’assessorato all’agricoltura della Provincia di Bergamo, è stato realizzato in collaborazione con la Direzione generale Agricoltura della Regione Lombardia, con Uniagronomi e con la Federazione dei dottori agronomi e dottori forestali lombardi.

“La questione nitrati – ha esordito Giambattista Merigo, presidente di Unicaa – rappresenta attualmente, come abbiamo già avuto modo di osservare, la problematica più pressante con cui devono confrontarsi le imprese agricole di pianura, una questione caratterizzata da un livello di complessità addirittura superiore a quello configurato a suo tempo dall’emergenza quote latte. Per questa ragione Unicaa ne ha fatto l’oggetto di una pluralità di occasioni di approfondimento riservate agli addetti ai lavori”.

Nel corso dell’incontro, mediante il contributo di autorevoli relatori, sono stati esaminati in dettaglio i principali aspetti relativi al piano di distribuzione dei liquami provenienti dagli allevamenti, sia sotto il profilo degli adempimenti burocratici richiesti dalla normativa vigente, sia dal punto di vista della razionalizzazione della gestione aziendale. “Il piano di ripartizione degli effluenti zootecnici sulla superficie di un’azienda agricola – ha fatto notare Danilo Pirola, direttore di Unicaa – è spesso considerato da molti imprenditori come un semplice onere burocratico cui dare adempimento in modo da ottemperare agli obblighi di carattere ambientale previsti dall’Unione europea. Benché questo aspetto non sia affatto trascurabile, ritieniamo indispensabile cogliere anche tutte le implicazioni di carattere gestionale insite in questo strumento, così da ottenere i migliori risultati possibili sia in termini di fertilità e produttività dei terreni sia sotto il profilo della tutela delle risorse ambientali”.

Dal seminario, che ha fatto registrare un’assai nutrita partecipazione di professionisti provenienti dalle regioni italiane a più alta densità zootecnica, sono emerse le differenti implicazioni legate al rapporto tra il piano di fertilizzazione di un’azienda e il piano colturale che deve stare necessariamente alla base del primo, prevedendo sin dall’inizio dell’annata le colture di primo e secondo raccolto e una ripartizione dei terreni in adeguate unità gestionali: il tutto come indispensabile precondizione per attuare un programma di distribuzione delle quantità di azoto che sia il più possibile efficiente e congruo rispetto agli obiettivi che l’impresa si è data.