VERONA – Il boom dell’Italia. Numeri roboanti da 22 milioni di ettolitri esportati (su 45 milioni prodotti), 13,5 miliardi di euro quale giro d’affari e quasi quattro miliardi sulla bilancia commerciale. A danno soprattutto dei parenti francesi. La nostra “conquista” di Brasile, Russia, India e Cina, che affiancano Germania (21,6% degli acquisti) e Stati Uniti (21,1%).

La tipicità dei nostri piccoli vigneti (363 denominazioni d’origine), 680mila ettari complessivi invidiati in tutto il mondo. L’originalità e la versatilità dei vitigni della Penisola, che fanno dimenticare cabernet e merlot, tenendo alla distanza i prodotti delle grandi estensioni californiane, australiane, argentine. Le tendenze del gusto e l’interesse per i prodotti ecologici. I canali di distribuzione vincenti, la frontiera del commercio elettronico, la vendita diretta e il mondo della ristorazione. La lotta alla contraffazione internazionale, segno che il nostro Paese fa scuola. “Vinitaly”, la fiera del settore per antonomasia, è tutto questo. La vetrina dei rappresentanti di un grande mondo fatto di 250mila aziende vitivinicole capaci di dare lavoro a un milione e 200mila persone. Oltre 92mila metri quadrati netti di superficie per quattromila espositori, in rappresentanza di tutte le regioni italiane, che sono qui a raccogliere lodi internazionali. L’attesa di 153 mila visitatori, di cui un terzo dall’estero. La presenza di 2.400 giornalisti. Il momento di confronto per lanciare proposte, proiettare strategie, elaborare progetti.

“Orgoglio patrio” a tutto tondo per il nettare di Bacco. Rafforzato dal clima per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Celebrati anche dall’immancabile bottiglia (“Vino rosso d’Italia” e “Vino bianco d’Italia”), prodotta in 7mila esemplari, nata da un’idea di VeronaFiere. Disegnata da Aldo Cibic, prodotta da Bormioli Rocco, è inserita dalla Presidenza della Repubblica nel calendario delle celebrazioni ufficiali per l’atteso anniversario. E’ l’Italia che va. Sinonimo di tenacia e di qualità. Successo costruito passo dopo passo sotto le insegne della tipicità. Di territori che hanno saputo spingere e fare squadra. Doveroso, allora, prendere a riferimento le regioni per approfondire la conoscenza del “movimento del vino” presente all’appuntamento veronese.

Cominciamo dal Piemonte, presente con circa seicento aziende, una ventina di cantine cooperative, cinque associazioni di produttori, dieci consorzi di tutela, organizzazioni economiche e professionali dei produttori e numerosi enti e istituzioni, come le Province di Alessandria, Asti, Novara e Torino. La regione occupa l’intero padiglione 9, più un gruppo di aziende nell’11 e il Consorzio dell’Asti nel 7b. Previsti 22 incontri e presentazioni di progetti e iniziative. Tra le altre attività collaterali, la riproposizione del “Ristorante Piemonte” nella “Cittadella della Gastronomia” nell’area H della fiera, e la Gran Medaglia Cangrande (conferita ogni anno dalla Fiera di Verona ai benemeriti della vitivinicoltura segnalati dalle Regioni) a Pietro Berutti, fondatore dell’azienda vitivinicola “La Spinona” di Barbaresco.

Per la Lombardia, presente con seimila metri quadri raccolti nel padiglione “Vini di Lombardia”, la medaglia di Cangrande è andata a Franco Ziliani, riconoscimento ai cinquant’anni della Franciacorta. “Il comparto lombardo del vino sta dimostrando tutta la sua vitalità – osserva l’assessore regionale all’Agricoltura, Giulio De Capitani. “Sul fronte della produzione, con un incremento del 10 % rispetto alla vendemmia 2009, pari al 2,9 %della produzione nazionale, e sul fronte dei riconoscimenti di qualità con due Doc new entry: le Terre del Colleoni e il Chiaretto della Valtenesi. Motivo di soddisfazione – conclude l’assessore – non solo registrare i singoli successi delle nostre cantine, ma anche la piena riuscita della sinergia tra il sistema vini lombardo, Unioncamere e Regione Lombardia”. Bene anche il “reparto” dedicato ai rossi di Valtellina.

Gioca in casa il Veneto, territorio dall’anima profondamente enologica. Occupa il primo posto assoluto nell’export, coprendo circa il 29,5% del totale nazionale, per un valore che supera il miliardo 138 milioni di euro. Degli oltre otto milioni di ettolitri prodotti nel 2010, un milione e 600mila ha riguardato Prosecco, 553mila i vini della Valpolicella, 448.043 Soave, tutti nelle varie tipologie Doc e Docg. Il tutto si riassume in una piramide che vede alla vetta undici vini a Docg e 27 Doc, per la gran parte da vitigni autoctoni e originari (oltre l’80% del totale) e anche da tecniche autoctone, come l’appassimento delle uve su graticci, ad esempio per ottenere un vino maestoso come l’Amarone o il Malanotte del Piave.

Sono stati il presidente della regione, Renzo Tondo, e l’assessore alle Risorse rurali, agroalimentari e forestali Claudio Violino, a inaugurare lo stand di 1.500 metri quadrati del Friuli-Venezia Giulia. Ospita 93 aziende e propone sotto l’egida del “Tipicamente Friulano” anche i prodotti tipici del territorio, come il prosciutto di San Daniele e il formaggio Montasio. Territorio caratterizzato, come viene evidenziato, dalla forte identità contadina e dalla continuità familiare nelle attività.

Circa settanta i produttori di vino del Trentino, presenti al padiglione 3. Fiori all’occhiello: il Trentodoc, con le referenze delle 34 case spumantistiche appartenenti al marchio collettivo, e la Trentino Grappa, distillato proveniente da 29 piccole realtà. L’Alto Adige registra invece 75 espositori, di cui 68 nello stand comune organizzato dall’Eos presso il padiglione 6, le rimanenti sette – tra cui l’associazione viticoltori Alto Adige – in proprio. L’Alto Adige vende in Italia il 19% della produzione e produce ogni anno 200mila bottiglie di spumante. Ma non mancano polemiche tra i gruppi linguistici. Tra le novità, ad esempio, il marchio con la discussa capsula monolingue “Südtirol”. Mentre negli Stati Uniti il territorio preferisce viaggiare con dizione italiana, associandosi ai più rinomati vini nazionali. Importanti anche i numeri della Liguria: 66 produttori, 120 etichette e 1.500 bottiglie negli scaffali dello stand. Sulle preferenze, i sommelliers non hanno dubbi: Rossese di Dolceacqua e Cinque Terre sono in testa, ma mantengono una posizione di assoluto spicco Vermentino e Pigato.

A gonfie vele la produzione dell’Emilia-Romagna: “Piu’ 10% l’export dei vini emiliano-romagnoli nel 2010, il Lambrusco conquista il titolo di vino più venduto nei scaffali della grande distribuzione con una crescita del 6%, mentre il Pignoletto, un vino fino a pochi anni fa sconosciuto, vede un’impennata degli acquisti pari al 25%”. E’ il quadro tracciato dall’assessore regionale all’agricoltura Tiberio Rabboni. Padiglione 1, oltre cento aziende e trecento vini in degustazione il biglietto da visita della regione.

La Toscana è presente al Vinitaly puntando su un mix di tradizione e tecnologia. Da un lato fa bella mostra un “carro matto” ovvero un “barroccio” pieno di fiaschi di vino, dall’altro un algoritmo leggibile con gli smartphone che porta dall’etichetta direttamente al sito dell’azienda produttrice. Ben 791 i produttori toscani presenti, cui si sommano i Consorzi e le Strade del Vino. Un esercito che occupa tutto il padiglione 8 e si allargha nella tensostruttura del padiglione D, e poi nelle location dei big, tra i padiglioni 6, 7 e 7D. Tra le novità, il “Catalogo dei vini e delle aziende della IX selezione dei vini di Toscana”, con ben 960 etichette e “Vinum veritas-farmhome.it”, progetto che intende coniugare la tecnologia digitale ed il web con il più classico concetto di “terroir”, ossia il legame del prodotto con il territorio.

Sotto il segno del Verdicchio le Marche, presenti con 118 aziende. La Sartarelli di Poggio San Marcello ha ricevuto la medaglia di Cangrande. “Il verdicchio già nel 2010 è stato il vino bianco più premiato d’Italia – ha precisato il vicepresidente regionale Paolo Petrini – consolidando la sua posizione commerciale con l’esportazione di sette milioni e mezzo di bottiglie”. Soddisfatto il titolare dell’azienda premiata: “Sono davvero felice di aver ricevuto questo ambito premio – ha detto – perché oltre a premiare la qualità del nostro vino, gratifica la professionalità dell’azienda e motiva in futuro la nostra squadra che è composta dalla mia famiglia e da altre persone. La nostra azienda ha come obiettivo la valorizzazione del Verdicchio, utilizzando la ‘cultivar’ verdicchio al 100% in tutti i suoi vigneti e cercando di esaltare le caratteristiche di questa varietà autoctona. Per caratterizzare ancora di più i nostri vini, stiamo selezionando da vecchi impianti con 32 cloni particolari, o meglio ‘antichi’ di verdicchio, allo scopo di ottenere vini ancora più complessi, mantenendo la tipicità varietale, ma con sfumature aromatiche più accentuate. Visto che viviamo in un mercato globale, però, occorre che le aziende perseguano la strada dell’aggregazione perché da soli non siamo competitivi”. Da segnalare l’intervento di Vittorio Sgarbi nell’area della Regione Marche per presentare le etichette disegnate da Franco Matticchio per l’azienda vitivinicola “La Murola” di Urbisaglia, in provincia di Macerata.

“L’idea è quella di presentarci insieme e di lavorare in maniera unitaria, per sottolineare l’immagine dell’Umbria e dei suoi prodotti di qualità”. Così Piero Peppucci, presidente di Umbria Top, cooperativa che organizza la presenza dei produttori umbri al Vinitaly. A partecipare 42 aziende e quattro consorzi di tutela (Montefalco, Orvieto, Torgiano e Trasimeno), oltre ad una rappresentanza di 14 cantine che dispongono di un proprio stand al di fuori dello spazio collettivo nel padiglione 7b. Tra le iniziative, la presentazione della guida “Olivino/ Cultura del vino, della vite, dell’olio e dell’oliva”.

“Palatium” è il titolo del padiglione di 2.500 metri quadrati della Regione Lazio, ubicato davanti all’ingresso principale della fiera. Le eccellenze: 26 vini Doc, 1 Docg (Cesanese del Piglio) e 4 Igt. Tra le “chicche”, il cortometraggio sul “Vigneto Lazio” di Vittorio Storaro.

Qualificata anche la presenza dell’Abruzzo, regione in netta crescita sul fronte enologico: 80 aziende, ma soprattutto la conquista di 10 medaglie su 71 (il 15% del totale), e 101 su 1.042 gran menzioni (10%), come sottolinea l’assessore alle Politiche agricole, Mauro Febbo. A guidare la classifica dei preferiti, il Cerasuolo d’Abruzzo, che conquista tutte e quattro le medaglie a disposizione nella sua categoria e che risulta il più premiato nella storia del prestigioso Concorso enologico internazionale. Interesse anche per la nuova Doc Abruzzo con le tipologie di vini bianchi Pecorino, Passerina, Cococciola, Montonico e Malvasia ottenuti dagli antichi vitigni riscoperti dopo un lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione.

Il Molise è associato alla Tintilia Doc, gioiello regionale. Venti le aziende partecipanti: Cianfagna di Acquaviva Collecroce; Palazzo di Baranello; Valtappino di Campobasso; Cliternia, Grancia di Romitelli, Di Tullio e Di Majo Norante di Campomarino; Valbiferno e De Lisio di Guglionesi; D’Uva di Larino; San Zenone, il Vignale e Il Quadrifoglio di Montenero di Bisaccia; Collesereno di Petrella Tifernina; Flocco di Portocannone; Cipressi di San Felice del Molise; Catabbo di San Martino in Pensilis; Salvatore di Ururi; Sannazzaro di Monteroduni.

In Puglia il vino è l’espressione di una cultura millenaria – ricorda l’assessore al Turismo Silvia Godelli. “Partecipando al Vinitaly ci proponiamo di dare un ulteriore segno di concretezza, proponendo attività di senso e valore, promuovendo pacchetti turistici mirati e percorsi strutturati rivolti non più ad una ristretta élite di specialisti, ma a un segmento diffuso e molto consistente della domanda turistica pugliese”.

In crescita anche la Basilicata. Sono ben undici le Gran Menzioni ottenute dai vini pregiati lucani. Lo stand della regione, su 500 metri quadrati del quale fanno 28 aziende vitivinicole, è stato inaugurato dall’assessore regionale all’Agricoltura Vilma Mazzocco. Tra le aziende premiate: Le Cantine del Notaio di Rionero in Vulture (otto menzioni nelle varie categorie per l’Aglianico del Vulture Doc). Positiva la valutazione di Gerardo Giuratrabocchetti, titolare delle Cantine del Notaio che ha fatto presente come insieme ai vini sia sempre più necessario promuovere il territorio lucano con politiche integrate tra i vari comparti. La Regione Calabria si presenta per la prima volta in maniera unitaria, come sottolinea l’assessore regionale all’Agricoltura Michele Trematerra (insieme al direttore del Dipartimento Agricoltura Giuseppe Zimbalatti e al presidente di Unioncamere Roberto Salerno). Trentasette le aziende presenti.

Sicilia tra i protagonisti assoluti grazie alle oltre 200 aziende distribuite su 170 stand per una superficie di ottomila metri quadrati. La regione, negli ultimi anni, è diventata brand di elevato prestigio dell’enologia internazionale, evocando territori di straordinaria vocazione vitivinicola, di lunga storicità e una forte relazione tra produzioni enologiche, cultura, tradizioni e paesaggio. Regione eterogenea che però offre microcosmi significativi, come la valle dell’Etna: qui nel 1860 sono state ritrovate ampeloliti (viti), risalenti a diversi milioni di anni prima della comparsa dell’uomo nell’isola. La Sicilia ripropone anche quest’anno al Vinataly 17 territori isolani, segnalati e distinti da un rinnovato gioco di immagini fisse e in movimento che ne individua caratteristiche e peculiarità. Un melting pot, che da Occidente a Oriente (i due spiriti irriducibili), dall’estrema punta ovest, Pantelleria, a quella a est, lo stretto di Messina, vale la pena di attraversare.

Nello stand della Sardegna, infine, dominano due tipi di degustazioni: le prime grazie alla collaborazione dell’Associazione nazionale dei sommelier, le seconde tenute da sommelier dell’agenzia regionale Agris che prevedono tra l’altro l’accostamento dei vini sardi con i prodotti di qualità e a marchio di origine della Sardegna. “Quest’anno lo stand istituzionale – spiega l’assessore regionale dell’Agricoltura Mariano Contu – ospita 73 cantine ed è completamente nuovo: è di circa 1.600 metri quadrati e con spazi resi più funzionali alla luce di quanto richiesto dagli operatori. Le cantine hanno anche un’area riservata dove poter contrattare con i clienti.

Tra le curiosità della manifestazione, lo stand-shock di San Patrignano (azienda vinicola a vocazione sociale) per sensibilizzare sul problema dell’alcolismo. “Per salvare 800mila ragazzi che bevono per sballarsi e i produttori non possono chiamarsi fuori – come denuncia Andrea Muccioli, facendo riferimento al rapporto Espad, condotto dall’Istituto di Fisiologia clinica del Cnr, che lancia l’allarme “binge drinking”, la bevuta per sballare. Nello stand, un’auto fracassata da un incidente stradale. Uno schiaffo al sistema. Ma forse fuori luogo in una kermesse commerciale. Interessante, tra i tanti incontri, il convegno sui vini a ridotto tenore di alcol, visti anche come un’opportunità di mercato. L’attenzione alla dieta (e alla guida) stanno determinando l’aumento della domanda di vini leggeri che può essere soddisfatta dai produttori lavorando diversamente in vigneto. Il fenomeno non investe, tuttavia, i vini che hanno portato ai vertici qualitativi l’Italia.

Attualmente nell’ambito del regolamento (Ce) 606/2009 della nuova Ocm vino è consentita la dealcolizzazione fino a un massimo di 2% vol, sempre rimanendo nei limiti della definizione di vino tra 8,5-9 e 15% vol. Oggi l’Oiv è sollecitata dalle pressioni del mondo dell’industria e di alcuni Paesi in cui il consumo di bevande alcoliche è vietato dalla religione a pronunciarsi in maniera definitiva anche sui prodotti ottenuti da dealcolizzazione spinta. “E le decisioni che saranno prese dall’Oiv – ha sottolineato Eugenio Pomarici, del Dipartimento di economia e politica agraria dell’Università di Napoli Federico II – confluiranno direttamente nell’Ocm unica, quindi ci interesseranno direttamente”. Mentre Paesi come Germania, Australia, Svizzera e Nuova Zelanda, ad esempio, hanno già una specifica normativa per riportare in etichetta la dicitura “vini dealcolizzati”. Ma quale è l’effetto della sottrazione di alcol sulla qualità sensoriale dei vini? “Vini sottoposti a dealcolizzazione limitata al 2% vol – ha spiegato Luigi Moio, del Dipartimento di scienza degli alimenti dell’Università di Napoli Federico II – risultano indistinguibili da quelli di partenza. All’aumentare della sottrazione di alcol la qualità sensoriale decade comunque, ma maggiormente nei vini con grado alcolico più basso: togliendo 3% vol da un vino che in partenza ne ha 15,5 si ottiene un vino indistinguibile ai test da quello tal quale; ciò non si verifica se si tolgono 3% vol da un vino di partenza di 13,5% vol”. Questa è la ragione per cui all’Oiv si sta valutando di indicare il livello di dealcolizzazione permesso quale intervento correttivo non più in un valore indifferenziato per tutti i vini (2% vol), ma come percentuale del grado alcolico di partenza (20%).