Fioriture anticipate, inquinamento e fenomeni estremi fanno in modo che le allergie arrivino sempre prima
Come tradizione, la primavera anche quest’anno porta l’allergia, come conseguenza della diffusione incontrollata dei pollini. La scienza conferma quanto chi ne soffre ha capito da tempo; oggi la sintomatologia è anticipata, in media, di 20 giorni.
Allergia, cambiano i tempi
Si tratta di un cambiamento significativo, perché un inizio precoce della primavera si accompagna a una maggiore prevalenza delle riniti allergiche, con sintomi inattesi nella tempistica e più complicati di affrontare, anche per via della insufficiente disponibilità di farmaci. Secondo uno studio americano, dal 1990 ad oggi le concentrazioni di polline negli Stati Uniti sono aumentate del 20%, con picchi in Texas e nel Midwest. “Temperature più calde e concentrazioni più elevate di anidride carbonica, insieme all’aumento delle precipitazioni, favoriscono la crescita delle piante e, soprattutto, la produzione di polline per periodi di tempo più lunghi”, le parole di William Anderegg, docente associato di biologia all’università dello Utah. Se possiamo dire che fino a qualche anno fa le stagioni delle allergie erano limitate a circa 8 settimane, oggi il rischio è quello di trovarsi a vivere in un’unica lunga stagione di vulnerabilità.
Crescono i soggetti allergici nel mondo
L’incremento dei soggetti allergici è considerato una conseguenza sia dell’aumento vertiginoso della quantità di pollini che della loro distribuzione nello spazio, associata all’aumento dei venti, anche questo “espressione dei cambiamento climatico”, spiega Mary Johnson, ricercatrice ad Harvard. Il cambiamento climatico influisce direttamente o indirettamente sulle cosiddette allergopatie. Secondo i dati dell’Oms, la percentuale di chi ne soffre si attesta tra il 10 e il 40% della popolazione, a seconda delle regioni e dei periodi dell’anno. I pollini sono ai primi posti nella classifica dei fattori che scatenano reazioni allergiche: anche per questo per monitorarli, traducendo la ricerca in informazioni utili e consultabili anche attraverso speciali app, sono nate e operano diverse reti di monitoraggio del meteo-pollini. In Italia ne esiste una composta da 70 centri e coordinata dall’Associazione italiana di aerobiologia: l’obiettivo è valutare l’arrivo, i picchi e il declino della presenza ambientale dei diversi tipi di polline nelle varie regioni del paese.
Un’eterna primavera?
E anche in questo caso il cambiamento è epocale. “Non c’è dubbio che i cambiamenti climatici influenzino in modo significativo le allergopatie, in particolare quelle respiratorie. – ha affermato Enrico Heffler, del Centro di Medicina Personalizzata Asma e Allergologia di Humanitas – L’effetto più immediato è legato al riscaldamento globale: l’aumento delle temperature medie e la maggiore durata delle stagioni calde, si traduce in una dilatazione temporale dei periodi di impollinazione di alcune piante e, contestualmente, in un anticipo dei processi di impollinazione. Se alcuni pollini iniziavano ad emergere ed essere presenti nell’aria nei mesi tradizionalmente primaverili, oggi molti si manifestano già nei mesi invernali per proseguire durante l’estate e arrivare addirittura al periodo autunnale.
Il ruolo dell’inquinamento
Accennata dallo studio americano, c’è la questione dell’inquinamento. “I cambiamenti climatici derivano dall’incremento, nelle nostre città, di polveri sottili e di sostanze come biossido di azoto e anidride carbonica. – le parole di Heffler – è comprovato che questi sono fattori in grado di incrementare l’allergenicità dei pollini: diversi studi hanno dimostrato che laddove le piante che li generano crescono in aree urbane (soprattutto se trafficate), i pollini di graminacee e quelli di ambrosia sviluppano la capacità di produrre una maggiore quantità di particelle di pollini, e si rivelano maggiormente allergeniche, rispetto a quelle che crescono in un ambiente meno inquinato”.
C’è poi un aspetto meno intuitivo ma egualmente rilevante che traduce i cambiamenti climatici in atto in un potenziale incremento delle allergie stagionali: “Insieme con l’aumento delle temperature, si registra un incremento consistente dei fenomeni climatici estremi e dell’alternanza di periodi di importanti piogge con fasi siccitose. – illustra l’allergologo – Ebbene, ciò favorisce la crescita di piante e la produzione di pollini, ma soprattutto amplifica le allergopatie nella misura in cui durante i temporali – in particolare quelli primaverili e quelli estivi, e comunque durante la fase pollinica – le particelle di polline presenti nell’aria si frammentino liberando molte delle loro componenti microscopiche, quelle maggiormente allergeniche. Assistiamo così a un incremento del ricorso alle cure ospedaliere, con sintomatologie anche importanti come attacchi d’asma anche acuti, proprio in concomitanza di queste bombe d’acqua: è quello che è stato definito thunderstorm asthma, (asma da tempesta)”.