ROMA – Fare il pieno di diesel in Europa rende gli automobilisti, anche quelli italiani, causa inconsapevole dei cambiamenti climatici, della deforestazione e dell’estinzione di specie a rischio come la tigre di Sumatra.
Lo rivela Greenpeace nel rapporto “Metti (l’estinzione di) un tigre nel motore”. La colpa? Secondo l’associazione ecologista sarebbe dell’Unione europea, che sta paradossalmente spingendo per l’adozione cieca dei biocarburanti senza distinguere tra quelli che aiutano il clima e quelli che invece sono un pericolo per il Pianeta.
Alla base della corsa al biocarburante c’è la direttiva europea sulle rinnovabili (2009/28/EC), adottata il 23 aprile 2009. La norma pone l’obiettivo di incrementare l’utilizzo delle energie rinnovabile nel settore dei trasporti del 10% entro il 2020. A tutti gli Stati membri è stato chiesto di presentare un Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili in cui indicare le misure che s’intende applicare per raggiungere l’obiettivo del 10%. La maggior parte dei Paesi europei ha deciso di puntare sull’incremento dei biocarburanti di origine vegetale, che potrebbero aumentare del 170% entro il 2020 secondo l’attuale tendenza, per toccare l’8,8% della riduzione delle emissioni.
Così in tutta Europa sta aumentando progressivamente la quota di biocarburanti proprio per raggiungere il target della direttiva. Determinando, indirettamente, un disastro ambientale. In Danimarca, ad esempio, la miscela dei biocarburanti ha raggiunto il 7%, da noi è al 4% e, dal 2012, arriverà al 4,5%. Greenpeace, per provare ciò, ha raccolto 92 campioni di diesel in stazioni di servizio delle principali compagnie (Shell, Esso, Total, Bp, Texaco, Q8, ecc.) in nove Paesi europei e li ha inviati ad un laboratorio tedesco specializzato nelle analisi dei carburanti. I risultati rivelano che il diesel europeo viene regolarmente miscelato con i biocarburanti più dannosi, cioè quelli prodotti da colza, soia e olio di palma. Tra i campioni di diesel raccolti, quelli con la maggiore percentuale di biocarburanti – tra il 5 e il 7 per cento – sono stati trovati in Austria (6,7%), Francia (6,1%), Italia (5,8%), Svezia (5,6%), Germania (5,5%). A seguire Olanda (3,4%), Belgio (2,7%) e Lussemburgo (2,3%).
Se in Francia la coltura più utilizzata è la soia, in Italia è stata riscontrata un’altissima percentuale di olio di palma. Valutazioni ufficiali dell’Unione europea confermano che la produzione di biocarburanti da queste colture accelera la deforestazione e il cambio d’uso dei suoli indiretto (ILUC): per produrre cibo dovremo comunque deforestare altrove. Questo li rende più dannosi per il clima dei combustibili fossili.
“Il cambio indiretto dell’uso dei suoli potrebbe rilasciare gas serra in quantità tale da portare in negativo il risparmio in emissioni dei biocarburanti” si legge in un documento del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea del 2008. “Gli italiani che si preparano per lunghi viaggi in macchina per le ferie estive, senza saperlo, faranno il pieno di cambiamenti climatici, deforestazione ed estinzione di specie – spiega Chiara Campione, responsabile della Campagna Foreste di Greenpeace Italia.
“Servono subito leggi che limitino l’uso di quei biocarburanti che distruggono clima e foreste e favoriscano soluzioni più efficienti”. Lo scorso dicembre, la Commissione europea aveva dichiarato che avrebbe rivisto le opzioni per mitigare gli effetti della produzione dei biocarburanti entro e non oltre il luglio 2011, sulla base di un approccio precauzionale e utilizzando le migliori conoscenze scientifiche disponibili.
Di fatto, quindi, quella che apparirebbe come una buona prassi ecologica – cioè la norma europea che obbliga ad usare almeno il 10% di biocarburanti – rischia di trasformarsi in un boomerang che determina un disastro ambientale. Eppure l’Unione europea, varando la norma, era stata attenta a possibili raggiri. Ad esempio ha vietato l’utilizzo di biocarburanti provenienti dal cambio di destinazione d’uso dei suoli. Cioè ha evitato che per coltivare soia, colza e palma da olio da trasformare in carburanti si potessero sottrarre terre da foreste pluviali.
Tuttavia, però, i “soliti furbi” hanno effettuato un cambio indiretto di destinazione, utilizzando terreni coltivati a fini alimentari per destinarli a colture energetiche. In alcuni casi sono andati oltre, trasformando foreste in terreni per colture alimentari. Greenpeace è pragmatica e chiede l’introduzione di normative vincolanti per aumentare l’efficienza dei motori e ridurre l’uso di ogni tipo di carburante, inclusi i biocarburanti, una legislazione che obblighi i produttori di energia a calcolare le emissioni dei biocarburanti includendo quelle derivanti dal cambio d’uso dei suoli indiretto e infine che per il raggiungimento degli obiettivi di abbattimento delle emissioni stabiliti nei Piani Energetici degli Stati membri non vengano tenuti in considerazione quei biocarburanti che non garantiscono una reale riduzione delle emissioni rispetto ai carburanti convenzionali.