Lo studio Assohotel-Cst sullo stato di salute della piccola impresa a gestione familiare. Hanno chiuso il 23,5% dei “2 stelle” e il 34 degli “1 stella”. Prezzi aggressivi delle grandi catene da un lato, effetto Airbnb dall’altro le cause
Un tempo si andava in vacanza in macchina, cercando strutture familiari possibilmente sul mare. Un tempo lontano, in cui si cercava di tornare negli stessi posti dell’anno precedente, in cui essere repeaters era la norma. Poi è arrivato il digitale e l’autoimprenditorialità e la rivoluzione digitale ha cambiato tutto. Oggi si comprano i biglietti aerei non in agenzia ma sui siti e gli alberghetti familiari sono stati soppiantati da case private, facilmente raggiungibili dalle principali piattaforme di affitti turistici brevi. Si annoverano ormai circa 500 mila (mezzo milione!) proposte di appartamenti e stanze private/condivise. Un boom che sta avendo un grave impatto sul mondo dell’accoglienza alberghiera in Italia, così come il digitale ha mandato in pensione tutti gli altri fattori del turismo d’antan; agenzie viaggio, pensioni, traveler’s cheques.
Ospitalità, cosa è cambiato
In particolare, alberghi e pensioni a gestione familiare, che un tempo erano un “punto di forza” del sistema ricettivo nazionale, ora faticano a restare sul mercato: in dieci anni, sono scomparsi 2.790 hotel a uno e due stelle, sempre più schiacciati dalle aggressive politiche tariffarie degli hotel di categoria superiore e al tempo stesso sopraffatti dall’aumento delle proposte di appartamenti in affitto. Emerge da un’analisi condotta da Cst per Assohotel, l’associazione che riunisce le imprese della ricettività turistica alberghiera – Confesercenti.
I piccoli alberghi non riescono più a competere non solo con le strutture medio grandi, che hanno una maggiore capacità finanziaria ed economica, ma anche con il fenomeno degli appartamenti, che hanno costi di gestione del tutto marginali rispetto a quelli delle imprese ricettive e sono privi di obblighi sul livello minimo dei servizi. Le difficoltà gestionali dei piccoli hotel derivano anche dalla necessità di assicurare lo standard delle dotazioni e dei servizi quotidiani previsti dalle rispettive normative regionali, oltre dalla necessità di presidiare le principali piattaforme online che chiedono commissioni elevate. Insomma, un sistema fin troppo competitivo e difficile da governare per un numero sempre maggiore di piccole imprese.
Numeri impietosi per il settore
Nel 2011 in Italia c’erano 10.266 hotel a 1 e 2 stelle che offrivano il 13,3% dei posti letto del settore alberghiero. Oggi ne restano 7.476 E garantiscono il 9,6% dei posti letto del comparto. Il loro ridimensionamento non è legato alle difficoltà del periodo pandemico, visto che dal 2011 il calo medio annuo è stato del 3%. Dieci anni fa gli hotel a 1 stella in Italia erano 3.612 e nel 2022 sono scesi a 2.385. Medesimo trend per i 2 stelle che nel 2011 contavano 6.654 Imprese e nel 2022 si sono ridotti a 5.091. In termini percentuali il calo dei primi è stato del 34% e la diminuzione dei secondi si ferma al -23,5%.
Una situazione particolare, dalla quale non sfuggono nemmeno i 3 stelle che in 10 anni hanno registrato una diminuzione del -2,5%. Nel 2022 il maggior numero di hotel a 1 e 2 stelle era concentrato nelle regioni del nord est (43,7%), mentre nelle regioni del sud e isole erano distribuite solo il 13,5% del totale. Proprio in queste aree negli ultimi 10 anni si è registrata la diminuzione percentuale più elevata, a differenza delle regioni del centro dove la diminuzione si è fermata al -20%.
“La deregulation di fatto in cui si è sviluppato il mercato degli affitti brevi in Italia sta portando a gravi squilibri nel comparto ricettivo – le parole di Vittorio Messina, presidente di Assohotel Confesercenti) – stiamo favorendo le non-imprese a tutto svantaggio delle attività imprenditoriali, che sono sottoposte ad un prelievo fiscale più oneroso e sostengono costi maggiori per essere in regola con la normativa, ad esempio per le questioni di sicurezza”.