Il suo nome è Hyst. L’ingegner Umberto Manola, dopo quattro lustri di sperimentazioni, ha messo a punto un sistema che permette di mutare la paglia sia in energia che in farina, fornendo contemporaneamente una soluzione ai problemi della produzione energetica mondiale e della fame nel mondo.

Sono le biomasse agricole (paglia, legno e scarti vegetali) e dell’industria alimentare (cruscame, vinacce) il carburante necessario a far andare la macchina. Il tutto a costi di produzione e impatto ambientale vicini allo zero. Il sistema è capace di separare le componenti della materia prima immessa facendo scontrare tra di loro, ad alta velocità, le particelle di biomassa trasportata da getti d’aria contrapposti. Riuscendo così a produrre elementi per la zootecnia e l’alimentazione umana, oltre a fornire le basi per la produzione di bioetanolo.

La produzione si aggira sulle due tonnellate orarie e il prodotto finito fuoriesce da tre bocchettoni (che possono arrivare fino a sette), già pronto per il confezionamento e la vendita. A Comacchio si è tenuta la dimostrazione tecnica del dispositivo, preceduta dall’annuncio di un accordo tra la BioHyst ed Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), per l’utilizzo del bioetanolo. A conquistare Enea è stata la flessibilità del sistema e la possibilità di applicazione nel campo dei biocombustibili.

“Questa tecnologia è nata per essere applicata all’industria molitoria e per la valorizzazione delle risultanze destinate all’alimentazione umana e zootecnica”, sintetizza Daniele Lattanzi, responsabile Business Development della BioHyst. La BioHyst punta al doppio circuito delle energie rinnovabili in Europa e del sostentamento alimentare nei paesi dell’aria africana. Il macchinario necessita di mezz’ora di tempo per completare un ciclo di produzione, ma può rimanere a regime per ventiquattro ore al giorno. Il dottor Manola, ingegnere biologico con esperienza di lungo corso nell’industria molitoria svizzera e tedesca, sin dal 1984, è stato incoraggiato e sostenuto dall’Isan (Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione), dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, oltre che dall’associazione filantropica Scienze per l’Amore. La BioHyst intende divulgare il dispositivo ovunque, a cominciare dall’Italia che produce 40 milioni di tonnellate di biomasse ogni anno ma che dipende totalmente dall’estero per quanto riguarda la fruizione dei combustibili fossili. La quantità di biomasse prodotte dal nostro Paese equivale potenzialmente a un migliaio di impianti, cento dei quali edificabili entro il 2012.

A tal proposito Daniele Lattanzi dichiara: “Nei Paesi industrializzati installeremo impianti di nostra proprietà e ci faremo corrispondere anticipi e royalties. Le stesse royalties le utilizzeremo per realizzare impianti nei Paesi in via di sviluppo, con l’impegno dei governi a farne beneficiare la popolazione”. La sua facile applicabilità consente di trasportare facilmente la tecnologia Hyst in Africa, con lo scopo di arginare il problema della malnutrizione infantile. “Frammenti di futuro: cibo per tutti” è il nome del progetto teso alla sicurezza alimentare e allo sviluppo sostenibile dell’Africa. Presentato ufficialmente a Roma dall’Associazione Scienza per l’Amore, affiancata dalla BioHyst e dall’Enea, con il sostegno di diverse organizzazioni umanitarie internazionali, il progetto tenta di ripetere i primi incoraggianti risultati ottenuti in Europa. Come spiega Pierpaolo Dell’Omo, responsabile settore Ricerca e Sviluppo BioHyst, “partendo dal presupposto che la tecnologia Hyst è in grado di ricavare da biomasse agricole, anche di scarto, prodotti destinati ai settori dell’alimentazione umana e zootecnica come dell’industria chimica e delle energie alternative, senza alcun impatto ambientale, i risultati fino ad oggi ottenuti in Europa ci incoraggiano a trasferire l’esperienza in Africa”.

Il piano prevede la sperimentazione del processo con biomasse tipiche locali, soprattutto miglio e sorgo, e la successiva installazione dei primi impianti, che verrebbero realizzati grazie alle royalties corrisposte dai Paesi industrializzati, che della tecnologia Hyst si servono per il risparmio energetico. I grandi progressi raggiunti nella lavorazione delle biomasse hanno dunque convinto la BioHyst ad intraprendere la strada della solidarietà. “Dalla crusca”, continua Dell’Omo, “siamo riusciti a recuperare una farina non solo idonea all’alimentazione umana, ma perfetta per la popolazione africana perché risponde al problema della malnutrizione. Ha infatti un alto contenuto proteico, di zinco, di ferro e vitamine”. Di qui il passo verso la sperimentazione in loco, con l’utilizzo di materie prime locali. “Il nostro fine”, spiega Daniele Lattanzi, responsabile Business Development Manager di BioHyst, “è dare ai Paesi in questione gli strumenti sia per lavorare sia per produrre da soli quanto necessario per una esistenza dignitosa. In una parola, renderli autonomi, consentendo loro di procedere alle successive fasi di stoccaggio e distribuzione”. Su questo fronte, è imminente la sottoscrizione di un accordo col Senegal (ma si parla anche di Ghana, Mozambico, Costa D’Avorio e Burkina Faso) , una cui delegazione presieduta dal consigliere economico dell’Ambasciata del Senegal in Italia, Christian Assogba, ha fatto visita, circa un anno fa, all’azienda comacchiese per verificare le qualità della tecnologia Hyst. La formula del comodato d’uso e delle royalties è quella più indicata a coprire i costi dei macchinari: due o tre milioni di euro, variabili per materia trattata, ammortizzabili nel giro di un anno. “Per l’Europa”, sintetizza Lattanzi, “il vantaggio sarà l’arricchimento di materie prime; per l’Africa, il sostegno alimentare”.

Vito Pignatelli, responsabile Gruppo Sistemi Vegetali per Prodotti Industriali di Enea, afferma: “D’altra parte componenti come la cellulosa e la lignina, non utili a fini alimentari, sono interessanti per la possibilità di utilizzo a fini energetici, per la produzione dei cosiddetti bioetanoli di seconda generazione”. Ma si spinge oltre: “Si potrebbe pensare di usare questi macchinari per la separazione degli elementi radioattivi dalle scorie prodotte dall’industria nucleare”. E la tecnologia potrebbe riguardare anche l’industria cartaria e quella chimica: sono attese novità in questo senso. La portata economica dell’operazione è ancora sconosciuta. Certo è che la materia prima costa cento euro a tonnellata, la resa è pari al venti per cento del prodotto immesso, la farina prodotta viene a sua volta venduta a duemilacinquecento euro ogni mille chili. Molto dipende dalle biomasse recuperate e dalle condizioni logistiche scelte. Il fine del progetto è sintetizzato da Alessandra Costa, direttore generale BioHyst: “Il nome che abbiamo dato al progetto è simbolo di una potenzialità oggi esistente che può tramutare un’utopia in realtà. Crediamo sia fondamentale in un’azienda trovare l’armonia tra il giusto profitto, non finalizzato alla mera speculazione, e lo sviluppo di una economia reale che porti benefici all’umanità”. Il professor Manola, che si dichiara soddisfatto del sostegno profuso da Enea, sottolinea come l’Italia rimanga tutt’oggi un Paese tecnologicamente indietro sul fronte della ricerca e della sperimentazione tecnologica e scientifica e descrive sinteticamente la mission della sua creazione: “Con questo sistema, che non è standard, ma va personalizzato e per questo non crea urti sul mercato, accontentiamo l’animale, l’uomo e l’uomo in automobile”. BioHyst punta in alto e con l’associazione Scienza per l’Amore ha cominciato una raccolta firme per la candidatura al Nobel del suo creatore. Anche perché, finalmente, le parole mercato, ambiente e solidarietà possono stare nella stessa frase.