ROMA – Il regolamento europeo sul biologico compie 20 anni. Occasione per fare il punto su un settore che continua a crescere, rappresentando un fattore di speranza per la salvaguardia dell’agricoltura tradizionale, del paesaggio e della sostenibilità ambientale.

Il successo del biologico è fatto innanzitutto di numeri: 47.663 operatori e un milione e 113mila ettari di superficie agricola utilizzata. Cifre diffuse dall’Aiab, Associazione italiana per l’agricoltura biologica, che ha festeggiato alla Città dell’Altra Economia di Roma con un convegno e un aperitivo per raccontare il comparto, le sue eccellenze e le sfide del futuro e con tante le iniziative in tutta Italia.

“L’agricoltura biologica italiana festeggia i venti anni della pubblicazione del regolamento europeo sul biologico con la leadership continentale per numero di operatori, ben 47.663, il secondo posto assoluto per superfici, oltre un milione di ettari, e il primo posto anche in termini di produzioni e di varietà di prodotti – spiega Andrea Ferrante, presidente nazionale dell’Aiab. “I frutti dell’agricoltura biologica nostrana, inoltre, coniugano la tipicità del made in Italy con le straordinarie qualità di sicurezza offerte dal bio.

I dati pubblicati dal ministero delle Politiche agricole costituiscono il miglior regalo che l’agroalimentare di qualità italiano, rappresentato dal biologico, fa alla società italiana che sempre più decisamente sceglie il biologico. I produttori bio italiani sono oggi l’avanguardia di un settore che cerca una nuova centralità nella società – prosegue Ferrante. “Abbiamo un ruolo imprescindibile nel quotidiano di milioni di italiani di tutte le classi sociali che scelgono il biologico e lo scelgono sempre di più di filiera corta, volendo conoscere direttamente i produttori. Le aziende biologiche stanno riscattandando il valore del lavoro agricolo e ne stanno dimostrando tutta la sua centralità sociale fornendo cibo di qualità, servizi paesaggistici ed ambientali e nello stesso tempo favorendo il reinserimento sociale delle persone svantaggiate con le nostre tante esperienze di agricoltura sociale”.

Gli orientamenti produttivi del biologico riguardano cereali (grano, mais e riso, prati foraggeri, pascoli e oliveti). Le produzioni animali registrano anch’esse un aumento generalizzato per tutti gli allevamenti, dai bovini, ai suini, a quelli avicoli e ovi-caprini. Per quanto riguarda la distribuzione regionale la Sicilia si conferma al primo posto per numero di aziende agricole biologiche, segue la Calabria, mentre per quanto riguarda le aziende di trasformazione, al primo posto si trova l’Emilia Romagna, seguita da Veneto e Lombardia.

Sono 300 in Italia le aziende agricole biologiche associate ad Aiab, impegnate sul fronte del reinserimento socio-lavorativo di detenuti, ex-detenuti e persone con svantaggio. “Il biologico – conclude Andrea Ferrante – è una storia di successo dell’agricoltura italiana, spiace solo che le politiche guardino sempre con meno interesse al bio e che alle dichiarazioni di principio seguano sempre meno fatti. In 20 anni siamo arrivati all’8% della Sau italiana, ci auguriamo che la prossima Pac dal 2014 al 2020 sia l’occasione per arrivare al 30% delle superfici ed al 20% dei consumi totali. Una sfida concreta che il settore del bio non teme, ma che deve essere accompagnata da politiche agricole lungimiranti e su questo dobbiamo ancora lavorare molto”.

Per farlo, secondo Teresa De Matthaeis, dirigente dell’Ufficio Agricoltura Biologica del ministero delle Politiche agricole, le priorità su cui investire dovrebbero essere principalmente due: l’informatizzazione del settore e un rafforzamento della filiera. Bisogna poi scommettere ancora di più sui giovani, che sono la vera anima dell’agricoltura biologica italiana, come spiega ancora il presidente Ferrante. “I proprietari tipo di un’azienda biologica sono risultati essere in base a una recente indagine per lo più dei giovani, in particolare donne, e questo per noi e’ una ricchezza da sfruttare – afferma Ferrante. La storia di Marco Camilli, imprenditore agricolo del Lazio, sembra confermarlo. Marco ha 44 anni e dal 1996 è proprietario di un’azienda agricola di Onano, in provincia di Viterbo, che gli frutta di più del suo precedente lavoro in una farmacia. Per aprirla non ha usufruito di contributi pubblici, che invece ha poi utilizzato per rinnovare le attrezzature. In trenta ettari di terreno produce cinque tipi di fagioli che sono oggetto di tutela nel piano regionale di sviluppo rurale in quanto specie a rischio di erosione genetica (quelli del Purgatorio, i verdolini, i ciavattoni, i solfarini e i fagioli gialli), le lenticchie tipiche di Onano a seme grande, che sono un presidio Slow Food, e poi ceci, cicerchie, farro, orzo perlato e altri prodotti biologici. “La mia scelta è stata positiva sotto tutti i punti di vista – racconta Marco – è economicamente redditizia e soprattutto ha inciso positivamente sulla qualità della mia vita”.