Nel prossimo futuro seminare mais sarà decisamente meno redditizio che in passato.

E’ quanto emerge dall’analisi di Abia-Confai, l’associazione dei contoterzisti agrari, sull’andamento del comparto del seminativi.

Più che l’andamento dei prezzi di mercato, ad incidere sulla redditività delle aziende del comparto dei seminativi è una serie di altri fattori. “Oggigiorno, ad esempio, per cercare di preservare il mais dal rischio delle aflatossine, temibili agenti di origine fungina – sottolinea il presidente Leonardo Bolis Bolis – occorre mettere in atto una serie di monitoraggi e accorgimenti in varie fasi del ciclo produttivo: questi interventi comportano rilevanti oneri aggiuntivi per gli agricoltori. Si pensi alla raccomandazione di interrare i resti colturali attraverso un’aratura profonda, che si potrebbe invece evitare in favore di tecniche colturali meno costose e meno invasive, qualora non vi fossero pericoli di carattere sanitario”.

Costi crescenti derivano anche dai trattamenti contro la piralide, una farfalla diffusa soprattutto nel Nord Italia e acerrima nemica del granturco. A fronte di questo quadro della situazione cambiano decisamente le prospettive per le aziende basate esclusivamente sui seminativi, senza diversificazione produttiva in ambito zootecnico o nel comparto dell’agricoltura multifunzionale.

“Se nella provincia di Bergamo, fino a qualche anno fa, un’azienda a seminativi di 40-50 ettari consentiva ad una famiglia rurale di ricavare un reddito soddisfacente – evidenzia Enzo Cattaneo, direttore di Abia-Confai –, ora la soglia della sostenibilità economica per un’impresa di questo tipo si colloca intorno ai 90-100 ettari. In altre parole, l’asticella del pareggio di bilancio si è alzata considerevolmente, mettendo in difficoltà alcune delle nostre aziende considerate un tempo tra le migliori”.